FONDAZIONE DELL’ ACCADEMIA DEGLI ABBOZZATI  E SUA AFFILIAZIONE ALL’ARCADIA ROMANA

                                                                                                            orsa      

 

Con il trascorrere del tempo, l’istruzione superiore impartita a Sezze dai Padri Gesuiti dà frutti sempre più efficaci e sfocia nella fondazione dell’Accademia locale detta degli Addormentati e poi Abbozzati. Abbiamo quindi notizie riguardanti la fondazione di questa Accademia.

Intorno al Seicento nacque a Sezze un’Accademia culturale, di interesse tutt’altro che irrisorio, sia per essere stata tra le prime che fiorirono un Europa, sia per i nomi illustri che raccolse.

Un primo cenno dell’Accademia setina l’abbiamo nel volume scritto dal dott. Giuseppe Ciammarucone Descrittione della città di Sezza nell’anno 1641. In questo volume  sono riportate in appendice alcune composizioni greche, latine ed italiane,tra le quali si cita un elegante epigramma latino ed un bel sonetto di Francesco Della Valle.

Leggendo questi sonetti seicenteschi si può vedere quanta schiettezza di ispirazione e agilità ritmica sia in essi. Nel Seicento infatti c’era nel centro della città e in pieno splendore il Collegio setino della Compagnia di Gesù, dove ventiquattro Padri  Gesuiti curavano l’istruzione elementare e media con le seguenti materie: Umanità. Retorica, Fisica e e Scienze nel Ginnasio Liceo; Filosofia e Teologia nei corsi superiori.

Il Collegio attingeva la vitalità dal Collegio Romano al quale era unito. Poiché intorno al Seicento molte persone erano dedite agli studi e si dilettavano nel fare composizioni è naturale che si pensasse ad un’Accademia.

Con la peste scoppiata nel 1656 ci fu un periodo di stasi della feconda attività.[1] ma passata la peste ripresero gli studi e nell’anno 1690, l’Accademia detta in un primo tempo degli “Addormentati” risorse a nuova vita, come dimostra  un opuscolo stampato dal Minore Conventuale P. Filippo Ciammarucone, setino, edito nello stesso anno 1690 e dedicato al Papa Alessandro VIII della famiglia Ottoboni: Per le glorie immortali di Alessandro VIII- Orazione accademica recitata nella città di Sezze nell’Accademia degli Addormentati nuovamente eretta nel Palazzo del Rev.mo Sig.re Abate Pontini Francesco, Arcidiacono, Protonotario Apostolico, Auditore e  Commissario della Rev.ma Fabbrica di San Pietro di Roma, alla presenza dell’Ill.mo Sig.re D. Lorenzo Gherardi Governatore di Marittima e Campagna.[2]

          L’Accademia aveva ripreso il suo cammino, ma quel titolo di “Addormentati” non andava più bene e allora la rifiorita Accademia, presieduta dal setino P. M. Corradini di recente nominato Cardinale nell’anno 1712, gli Addormentati divennero gli Accademici Abbozzati con il motto Informia formo. L’ Accademia degli Abbozzati era ormai al suo culmine. Per gli studenti del Ginnasio – Liceo, infatti fu scritta e stampata una Sintassi per apprendere in breve tempo la lingua latina, uscita in Roma l’anno 1747 con i tipi di Salvioni per cura dell’Accademico abate Stefano Zucchini[3]

L’originalità dell’impostazione è nel fatto che fu per la prima volta scritto in lingua italiana un libro del genere, per fare una strada più spedita, e più aperta alla lingua latina, mentre si conosce dall’uso che porre in mano Grammatica Latina ai giovani principianti non è altro, che mettere alla tortura i loro intelletti per anco teneri ed incapaci, e sarebbe lo stesso, che ad uno cui si volesse insegnare la lingua turchesca, gli si parlasse da turco, e gli si ponesse davanti agli occhi una grammatica del medesimo idioma, del quale ne fosse ignorante.

La grammatica così concepita fece fortuna, fino a pervenire al Collegio Romano. Fu allora che lo stesso abate fece uscire poco dopo un accurato commento, pure in italiano, ai primi libri dell’Eneide di Virgilio.[4] L’ Arcadia di Roma non restò insensibile di fronte a queste opere e l’anno 1747 la setina Accademia veniva unita all’ Arcadia, con parità di diritti,, e mantenendo una sua autonomia culturale.Vi si iscrissero allora studiosi come  Zurla, Lambruschini, i Vizzardelli,e, in tempi a noi più vicini, il Brunelli.

Dopo la Rivoluzione Francese, restituito Pio VII a Roma, l’Accademia soprattutto per impulso della Nobildonna Pacifici De Magistris, che consumò tutto il suo patrimonio perché risorgessero tre istituti: il Ginnasio per i giovani, l’Istituto normale ( o Magistrale) per le giovinette, e una scuola di disegno per operai, si sentì più che mai legata alla sua tradizione culturale.

Per opera della stessa Nobildonna fu costituita anche  l’Accademia Filarmonica Setina, e nel teatro comunale  vennero rappresentate opere come “Lucia” del Donizzetti ed il melodramma “ Antonio il Masnadiero” del setino drammaturgo Conte Cesare Cerroni, noto nello stesso ambiente di Roma, dove morì appena trentenne.

Il Ginnasio continuò, ed è tutt’ora funzionante, anche dopo che i Gesuiti lasciarono la città, in seguito alla caduta del potere temporale[5].

Questa Accademia fu molto importante sia per essere stata tra le prime in Europa e sia per aver accolto persone illustri ed essersi aggregata all’Arcadia di Roma pur mantenendo la sua autonomia.

Riporto integralmente alcune pagine di un testo  di Maylander “Storia  delle Accademie d’Italia”, nelle quali vi sono notizie riguardanti l’Accademia  degli Abbozzati di Sezze: Sebbene ai tempi di Leone X sia stata ricondotta la sua  origine e la si abbia perciò esaltata quale prima Accademia, non che dell’Italia, ma  d’Europa intera, tuttavia tra il 1641 e il 1690 dobbiamo fissarne la nascita. Si smarrì completamente il nome di chi fu l’istitutore, e null’affatto si conosce dei suoi Accademici, delle Leggi ed Impresa.

Nel 1690 essa risorse a nuova vita come attesta un’orazione in detto anno data in luce dal P. Filippo Ciammarucone Setino, Minore Conventuale, scritta in lode di Alessandro III degli Ottoboni in occasione del suo innalzamento al pontificato ed accompagnata da vari componimenti latini ed italiani di altri Accademici.

Da questa orazione, di cui non è menzionato il luogo della stampa, volle il Dott. Luigi Marcotulli nei suoi Cenni storici dell’antichissima Accademia della città di Sezze sotto il titolo degli Addormentati, quindi degli Abbozzati, letti nella mensile accademia tornata del del 5 maggio 1853 ecc. (Velletri, tip.della ved. Ercole Sartori, 1853) trarre argomenti  per far risalire i primi vagiti degli Addormentati  ai tempi di Leone X, cioè all’inizio del secondo decennio del secolo XVI.

Ma le ragioni che il solerte storico della setina Accademia seppe portare in campo, se valgono a procurargli lode di sviscerato municipalismo non avvalorano la sua asserzione. Tutt’al più gli riuscì di far rimontare al 1656 la nascita degli Addormentati e di accumulare un monte di errori madornali riguardo alle date di fondazione delle altre principali Accademie d’Italia e delle estere nazioni.

Con il nome degli Addormentati si mantenne l’adunanza sino fino al 1744, quando prese il titolo degli Abbozzati e la Impresa d’un orsa coi suoi parti informi col motto Informia formo donec perfecta come si rileva dalle “Memorie istoriche dell’adunanza degli Arcadi” del Custode Generale Michel Giuseppe Morei (Roma 1761) ove a pag. 208 si menziona dell’Accademia Colonia Setina presieduta dal Vicecustode Stefano Zucchino Stefani, fra gli Arcadi.

Questa colonia venne dedotta in seno agli abbozzati nel 1747, mantenendo tuttavia le leggi premiere ed una certa tal quale indipendenza dalla romana adunanza degli Arcadi, specie perché  di solito il Vescovo di Sezze le era largo di protezione. A capo dell’Accademia stava un Console, un Segretario, l’Archivista ed il Bibliotecario di carica biennale e quattro Censori perpetui.

Dopo una lunghissima interruzione causata dall’invasione francese, rivisse l’Adunanza sotto il consolato di Giuseppe Capitan Cerroni al quale successero l’Arciprete D, Giuseppe De Angelis, già suo segretario, il Maggior Giuseppe Carnebianca, il già lodato Dott. Luigi Marcotulli, l’Arciprete Domenico Persi, Don Gaetano Ulgiati, Mons. Arcidiacono Gregorio Villa, Nicolò Passerini, Proposto del Bollo e Registro,, il canonico D. Giuseppe Di Bella, il canonico D. Salvatore Turchi e Mons. D. Giovanni Galla, Vicario Apostolico di Sezze e Segni.

Sin dal 1744 gli Abbozzati avevano fatto costruire un proprio teatro ed ancora nel 1853 fioriva e godeva buon nome la loro adunanza. Il Dott. Marcotulli ce lo attesta dicendo come da ogni canto d’Italia non solo, ma dalla Capitale del mondo civilizzato  della istessa Parigi cioè e da altre città principali della Francia, dalla Spagna, e finalmente dalla rispettabilissima Atene, che fu cuna dello umano sapere, continue istanze lor pervenivano, onde esservi aggregati da distinti personaggi.

In oggi l’Accademia degli Abbozzati, dimentica dei trascorsi periodi di fioritura merita l’antico nome degli Addormentati[6]

Da ciò che segue possiamo trarre alcune notizie che riguardano l’affiliazione dell’Accademia degli Abbozzati all’Arcadia Romana e alcune sue pubblicazioni.

Molto interessante la relazione della famosa Arcadia Romana, fondata nel 1690 per opera soprattutto di G. V. Gravina e del Crescimbene,con le nostre terre pontine: specificatamente, nel caso, Sezze, allora a guida del movimento culturale artistico per opera del Collegio setino dei Padri della Compagnia di Gesù.

Quando il Gravina e i Crescimbene dettero vita all’Accademia Romana “Arcadia” l’anno 1690, tra i cofondatori fu annoverato l’allora, giovanissimo setino Pietro Marcellino Corradini che divenne poi Cardinale. Ma il Corradini aveva anche incrementato la locale Accademia setina degli “Abbozzati” e mantenne sempre nel cuore il segreto desiderio di vederla affiliata alla romana “Arcadia” pur nella sua debita autonomia  come Colonia[7]

Ciò fu soltanto possibile dopo la sua morte (1743) quando l’Accademia setina cominciò a fregiarsi di interessanti pubblicazioni filologiche di cui sono ancora reperibili nelle biblioteche  la “Sintassi della lingua latina” dell’abate Stefano Zucchini, tanto fortunata da essere persino adottata dal Collegio Romano (1747) e un “commento sul libro I e II dell’Eneide.

Fu così che nell’anno 1747 l’Accademia setina fu chiamata agli onori di “Colonia dell’Arcadia”.

Ciò risulta da due lettere autografe, a tutt’oggi inedite, riportate in appendice, indirizzate dallo stesso Custode Generale dell’Arcadia, Mons. Agostino Martolino, all’allora Vescovo Diocesano Mons. Tommaso Mesmer, in occasione del bicentenario del glorioso sodalizio romano[8].

Ora, la lettura attenta di queste lettere non solo conferma esplicitamente la data di fondazione della Colnia Arcadica in Sezze, ma evidentemente suppone una continuità di scambio culturale mai interrotto, altrimenti non si comprenderebbe il contenuto delle stesse lettere.

 

 



[1] VINCENZO VENDITTI , Un’antica Accademia Lepina in Strenna Ciociara 1968, pp 110- 114

[2] VINCENZO VENDITTI Un’antica Accademia Lepina, op. cit. p. 50

[3] SALVIONI, Sintassi Latina, 1747

[4] Dialoghi sul libro dell’Eneide, presso Antonio De Rossi, Roma , 1748

[5] VINCENZO VENDITTI, Strenna Ciociara, op. cit., p.50

[6] M. MAYLANDER , Storia delle Accademie d’Italia, Sezze, Accademia degli Addormentati, vol. I, ediz. Cappelli, Bologna 1926,  pp.67- 68

[7] VINCENZO VENDITTI, L’Arcadia, in Bollettino Diocesano, Anno III, num. 2, Aprile – Giugno 1970, pp  44-45

[8] VINCENZO VENDITTI, L’Arcadia, in Bollettino Diocesano, Anno III, num. 2, Aprile – Giugno 1970, pp  44-45

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BRUCIA MONTE TREVI

 

Come in tante altre parti della Terra, gli incendi e la deforestazione non producono solo la perdita di un patrimonio arboreo ma di un intero ecosistema e di bellezze naturali che non hanno prezzo per il nostro bene- essere quotidiano.

La bellezza della natura, dei paesaggi, dei monti, dei boschi, è diventata sempre più fragile da quando l’uomo li ha abbandonati.

Sono infatti spariti pastori, allevatori e tutto quel mondo di persone che popolava le montagne, che le custodivano, che ne regimentavano le acque, che costruivano  terrazzamenti e fasce antincendio.

Sono spariti perché la montagna non offre più loro le condizioni per un reddito dignitoso, tutto è stato immolato al mito della globalizzazione, di una economia distorta ed incentrata ad un mercato esasperato di crescita e di sviluppo senza limiti.

La bellezza naturale è per tutti un dono di Dio pari alla vita, che dovrebbe essere protetta come qualcosa di prezioso e di irriproducibile, invece si continua a distruggerla in nome di un futuro migliore o per la ricchezza di pochi, senza rendersi conto che ciò che si perde è perduto per sempre.

Le disastrose vicende metereologiche degli ultimi giorni ma anche il covid stesso, sono la risultante delle offese che quotidianamente l’uomo arreca all’ambiente.

Guardarsi attorno e vedere intere foreste divorate dagli incendi, vedere l’agricoltura e il nostro cibo distrutti da fenomeni meteo sempre più estremi, vedere interi paesi scivolare a valle, spazzati via dalla furia delle acque e del fango, vedere i ghiacciai che si disciolgono irreversibilmente, assistere alle mancanza di rispetto per l’ambiente ci toglie ogni senso del bello.

Tutto ciò è deprimente perché ci priva di un diritto che dovrebbe invece esserci dovuto nella vita di ogni giorno, ci priva di quella aspirazione ad una  maturità civica che non può in alcun modo coesistere con il degrado.

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 KIWI: UN CONCENTRATO DI BENESSERE

kiwi 

Nel periodo dell’anno che va da novembre a gennaio è buona abitudine proteggersi dai malanni tipici della stagione, non solo coprendosi con strati di golf, piumini e sciarpe di lana ma seguendo, com’è noto, anche una dieta ricca di vitamina C. Questa preziosa vitamina, un vero e proprio elisir di benessere, è un composto organico presente in diversi alimenti, in modo particolare nei kiwi, negli agrumi e nei  pomodori.

Il kiwi, che è un frutto succulento e dal gusto leggermente acidulo, è una vera e propria bomba di salute, una sorta di scudo naturale per il benessere fisico.

Secondo i dietologi, cento grammi di prodotto contengono circa 85mg di vitamina C,  tra le più alte concentrazioni presenti in natura, oltre a magnesio, fosforo, calcio e potassio che combattono l’osteoporosi.

I kiwi sono composti di acqua per l’83% e a ciò si aggiunge un contenuto calorico ridotto pari a 61 calorie ogni 100 grammi che li rendono un alimento particolarmente indicato nel diabete, ma anche come spezza fame nelle diete dimagranti.

Al contrario di quanto si pensi, anche la buccia (ben lavata) è commestibile e rappresenta una fonte di fibre che fanno bene all’intestino e controllano il glucosio presente nel sangue.

Anche se il kiwi è originario della Cina, da cui è stato poi esportato in Nuova Zelanda, ad oggi il maggior produttore mondiale di questi frutti dalla caratteristica polpa verde è l’Italia, dove se ne consuma in gran quantità. La coltivazione è particolarmente diffusa nel Lazio.

La raccolta avviene normalmente nel mese di Novembre ma è possibile mantenerlo in frigo per moltissimi mesi senza perdere le sue proprietà nutrizionali.

In natura ne esistono diverse varietà e nella nostra provincia godono del marchio IGP come Kiwi Latina, che purtroppo è scarsamente usato. 

È un frutto consigliato come merenda sana e nutriente per i più piccoli, ma trova utilizzi interessanti anche in cosmesi: una maschera per il viso, fatta semplicemente con la polpa schiacciata del kiwi, ha notevoli proprietà astringenti lasciando la pelle più luminosa e levigata.

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                                   ZUCCA, LA REGINA DELL’AUTUNNO


La zucca è un classico prodotto autunnale e se ne possono trovare di diverse forme e colori. I nostri nonni, sino agli anni 50 del secolo scorso coltivavano una zucca grande, dalla forma allungata, la cosiddetta “cocozza spagnola” introdotta nel Regno di Napoli, dai Borboni di Spagna e proveniente dalla parte centrale dell’America Latina, durante la colonizzazione spagnola. Il nome, ancora oggi, è rimasto in uso in tutto il centro-sud ad indicare in modo generico le molteplici varietà di zucca reperibili sul mercato, dalla più nota e diffusa “Moscata di Provenza” a buccia arancione, alla “Mantovana” e alla “Asterix” entrambe a buccia verde, sino a quelle a buccia rugosa, assai diffuse nei Paesi Arabi ma coltivate in misura minore anche in Italia.

Le zucche sono un formidabile mediatore culturale, in quanto le possiamo trovare e mangiare in tutte le zone temperate del pianeta e per questo costituiscono un grande elemento di biodiversità, sia italiana che internazionale. Erano conosciute e coltivate, in varietà diverse, dai popoli più antichi, tra cui gli Egizi, i Romani, gli Arabi e i Greci, che probabilmente la importarono dall’India. Sembra però che non fossero una specie adatta all’alimentazione umana ma solo per quella animale ( maiali) oppure per farne ciotole, piatti, contenitori per il sale ed altri oggetti da cucina, dopo aver tolta la polpa e fatta essiccare. 

Persone di diverse culture, grazie alla zucca, possono ritrovarsi vicine per gustarla in tanti modi: al forno o fritte in padella e perché no, anche per parlare di biodiversità. Questo identifica la grandezza di un prodotto del quale non si butta via niente e che si può mangiare persino con la buccia, così come avviene con la zucca Mantovana al forno, speziata con origano, una cucina tipica della Bassa Padania.

I nostri nonni prelevavano i semi dalla zucca, non solo per la riproduzione ma anche per mangiarli dopo una lieve tostatura, i cosiddetti “bruscolini”, buonissimi e assai ricercati specialmente quando si andava al cinema o allo stadio, dove non mancavano i venditori ambulanti, persino all’interno nell’intervallo tra il primo e il secondo tempo.

Non era casuale che in passato le zucche diventassero anche elemento di design, di gioco, di estetica: con le zucche rotonde si facevano giocare i bambini con gare a chi riusciva a farle ruzzolare più lontano ed oggi la ricorrenza di halloween, di origine celtica ma influenzata dalle tradizioni statunitensi, si è diffusa in molti Paesi del mondo e le sue manifestazioni sono molto varie: si passa dalle sfilate in costume ai giochi dei bambini, che girano di casa in casa recitando la formula ricattatoria “deltrick-or-treat” (dolcetto o scherzetto).

Le ultime ricerche hanno provato che le zucche, grazie alla cucurbitina aiutano a proteggere la prostata e a contrastare patologie dell’apparato urinario maschile e femminile, prevenendo la cistite.

Grazie al contenuto di betacarotene, la zucca è un ortaggio davvero miracoloso: migliora la circolazione e il transito intestinale, sconfigge l’insonnia, contrasta l’azione dei radicali liberi e rallenta l’invecchiamento delle cellule. Inoltre, possiede capacità emollienti che la rendono molto utile anche nel caso di punture di insetti. 

Il consumo di semi di zucca o dell’olio derivante dall’ortaggio viene indicato per eliminare i parassiti intestinali e per trattare le infiammazioni della pelle, quando si verifica una scottatura o quando si ha un prurito intenso con fenomeni di arrossamento.

Ma siccome non viviamo solo di proteine, di vitamine e di  nutrienti ma anche di emozioni, ecco che la zucca ci apporta un altro elemento da non sottovalutare, il triptofano, ovvero la molecola utile al nostro corpo per sintetizzare la serotonina e creare buonumore. Il triptofano invia il segnale alla parte superiore del cervello e lo stimola a regalarci buonumore e gioia.

 

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I granai della memoria, signòre e pezzènti 

  

Da antichi documenti di famiglia, tradizionalmente agricola, ho potuto conoscere alcune varietà di grani antichi e di granturco coltivate a Sezze e nel resto dell’Agro Romano-Pontino in tutto l’Ottocento sino ai primi del Novecento.

Tra questi grani antichi, vi sono varietà che stanno tornando in voga per le loro caratteristiche di non causare intolleranze alimentari, assai diffuse ai nostri giorni, oppure per la semplice riscoperta di cibi salubri dai sapori dimenticati.

La varietà più antica pare sia il Monococco o picccolo farro, addomesticata 10.000 anni fa in Medio Oriente e diffusasi in tutto il mondo. Si tratta dell’unico cereale che a detta dei nutrizionisti, pur contenendo glutine, sembra non scatenare le classiche reazioni allergiche che si manifestano negli individui affetti da celiachia o altre gravi intolleranze alimentari al grano tenero. E’ insuperabile anche nella preparazione dei dolci di Sezze, in modo particolare paste di visciole e crostate.

Altra antica varietà è La Romanella, coltivata sin dall’epoca romana, fu con ogni probabilità la varietà di grano che meritò a Setia la fama di horreum romanorum (granaio di Roma). Tale varietà di frumento, unitamente alle particolare condizioni pedoclimatiche del territorio è sicuramente quella che ha reso celebre nei secoli l’arte del pane a Sezze.

Ai primi del Novecento compare il grano che porta il nome del Senatore Cappelli, che in realtà fu selezionata a Foggia dal famoso genetista Nazzareno Stampelli nell’azienda del senatore Raffaele Cappelli, il quale nell’avviare la trasformazione agraria in Puglia, sostenne il progetto del genetista.. Trovò subito un largo impiego nella produzione della pasta e soppiantò le altre varietà di grano duro autoctone. sino ad allora coltivate.

Ibridata dallo stesso Strampelli negli anni 20 del secolo scorso fu la varietà Ardito, largamente impiegata in quella che sarebbe poi passata alla storia come la “battaglia del grano”.

Meno fortunate, a causa della loro estinzione, sono state le biodiversità di mais di Sezze, come  il granturco Agostano (raccolto in agosto) detto anche Mondraone, quello delle paludi alte Spadone, che si raccoglieva in settembre – ottobre e quello delle paludi basse a raccolta novembre- dicembre chiamato La Befana.

Se i nostri antenati non avessero selezionato queste varietà a raccolta differenziata e capaci di adattarsi all’acqua stagnante della palude, probabilmente non avrebbero potuto sfamare la famiglia.

Quasi sempre il granturco di palude, quello che maggiormente si prestava per la gioia dei bambini a fare le signòre (il popcorn sezzese), veniva raccolto e trasportato su speciali imbarcazioni chiamate sandali, costruite in loco per navigare in palude.

Ancora oggi nel campo di Sezze esiste la Via Sandalara che ricorda il luogo dove approdavano e venivano costruite queste imbarcazioni, sito in prossimità delle delle terre a lù ìrto (terre alte).

Non tutti i chicchi di mais, scoppiettando in padella o accanto alla brace diventavano signòre, ve n’era una parte, peraltro assai contenuta, che bruciacchiava ed anneriva ma che veniva ugualmente consumata e che in dialetto chiamavano i pezzènghi (pezzenti), ovvero l’opposto delle pompose signòre. Erano i tempi in cui poche famiglie di signùri dominavano il paese e le differenze sociali erano assai evidenti, anche nel modo di vestire.

Oggi .le coltivazioni intensive dei cereali hanno ridotto le produzioni a due o tre varietà, che producono quattro - cinque volte di più dei grani antichi, inondando però il mercato solo di queste specie, quelle su cui si sperimentano gli OGM, quelle per le quali si  brevettano i semi, rompendo antichi sistemi di coltivazione, il legame con la terra e distruggendo la cosiddetta biodiversità”, cioè quelle varietà che crescevano adattandosi alle terre e ai climi, in grado quindi di sfamare paesi, comunità, città intere, perché in armonia con la natura di quei luoghi.

L’armonia con la natura è un fatto importante perché noi stessi ne facciamo parte e non dobbiamo influire su di essa. Un esempio: dopo lo tsunami del 2004 che interessò la costa orientale dell’India, il mare, ritirandosi, aveva salato tutte le risaie per migliaia e migliaia di ettari. Era impossibile coltivarle. I contadini hanno però scoperto che esisteva una varietà di riso resistente al sale, l’hanno piantata ed hanno salvato i raccolti.

Noi, di fronte a un problema come questo pensiamo subito alla scienza, agli OGM, invece la sapienza contadina sapeva che al problema esisteva già il rimedio.

Si conserva memoria che nei secoli passati si coltivava a Sezze nelle zone aride collinari una varietà di mais selezionata dai contadini locali, caratterizzata da piante molto basse, di scarsa resa ma con il vantaggio di fruttificare anche in assenza di precipitazioni, contribuendo a sfamare la popolazione in un’agricoltura di sussistenza.

Sono i magazzini della memoria, o meglio i granai della memoria quelli che conoscono la terra e sanno tradizionalmente cos’è la biodiversità, nata proprio per sfamare l’umanità[1] in tutta sicurezza.

Ma invece di aumentare, la biodiversità diminuisce progressivamente in tutto il mondo. In un secolo, secondo Slow Food, si sono estinte oltre 300.000 varietà vegetali e continuano a estinguersi al ritmo di una ogni sei ore. LEuropa ha perso l’80% e gli USA il 93% delle proprie diverse qualità vegetali ed animali, e sulla terra si è già estinto o è in via di estinzione 1/3 delle razze autoctone bovine, ovine e suine e ci si nutre per il 95% solo con una trentina di varietà vegetali ed animali.

Ancora oggi, a fronte di una popolazione mondiale che sfiora gli 8 miliardi, esistono un miliardo di persone che soffrono di denutrizione e di fame.

E’ vero che la popolazione del pianeta rispetto a 50 anni fa è più che raddoppiata, ma è pur vero che l’agricoltura intensiva e chimica non ha risolto i problemi dell’umanità, ha sfamato il pianeta solo in parte e soprattutto lo ha inquinato, ha cancellato identità culturali di interi popoli e ha drasticamente ridotto la diversità, che comunque rimane un pilastro forte, anche se spesso vilipesa e non tenuta nella giusta considerazione.

Rafforzare la biodiversità non significa tornare ad un’economia residuale ma ad una macroeconomia. Tante economie piccole, con molte persone che partecipano, che lavorano, che spendono il loro tempo, che ci mettono passione, realizzano una macroeconomia di proporzioni straordinarie.

La biodiversità, oltre ad essere una risorsa per molte comunità del mondo, allarga il numero di vitamine e proteine disponibili, affiancando quelle più diffuse e conosciute, diventando alternativa valida alle coltivazioni intensive delle solite produzioni alimentari.

Se saldiamo la biodiversità al recupero delle tradizioni e dei granai della memoria contadina, alla scienza e alla tecnologia rispettosa della natura, ad una più equa distribuzione delle risorse alimentari e perché no, al gusto riscoperto dei prodotti, si potrà salvare il pianeta dall’inquinamento e dalla fame.



[1] Sezze è ricca di biodiversità, sicuramente più di altri paesi, tra queste eccellono i carciofi e i broccoletti.  Non è a caso che nel suo emblema campeggia la cornucopia  con la scritta Setia plena bonis….

  

 

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CORONAVIRUS: UN MONDO FRAGILE

 

 

Dopo aver accettato - e spesso enfatizzato - politiche di riduzione della spesa pubblica, dobbiamo prendere atto che salute, formazione, vita sono beni preziosi non subordinabili all’aridità contabile degli equilibri di bilancio. Dopo aver scommesso sulla sovranazionalità e sulle istituzioni internazionali, constatiamo che alla prima seria criticità globale le istituzioni sovranazionali sono deboli e prive di strumenti.

E scopriamo anche che i ritmi frenetici della società di internet, degli e-bay, dei social, dei discount, degli all-inclusive non ci offrono più sicurezza, ne’ più felicità. E scopriamo che, per non vanificare l’enorme fatica delle strutture terapeutiche e sanitarie e fermare la diffusione del contagio, è prezioso il focolare domestico.

Sì, COVID-19 ci costringe a ripensare il nostro modo di vivere e il mondo in cui viviamo.

Non con la testa rivolta all’indietro, non con la nostalgia delle ere dell'oro, in realtà mai esistite. Né con una pregiudiziale diffidenza verso le mille e mille innovazioni che in ogni campo ogni giorno si aprono. Né con una ostilità ideologica alle tante opportunità che le società aperte offrono, in primo luogo ai giovani.

Si esce dal buco nero del coronavirus se, guardando avanti e scommettendo sul futuro, si progetta un mondo “nuovo” rispettoso dell’uomo e della natura. Questo virus chiama la politica a riflettere seriamente sulle sue finalità, sulle sue priorità, sulla relazione con i beni primari della vita.

Ce lo chiedono quei milioni di giovani che in tutto il mondo hanno raccolto l’appello di Greta a fermare il degrado del pianeta. Ce lo chiedono quei tanti scienziati oggi in prima linea nel difendere la vita dall’insidia mortale di un bacillo sconosciuto. Ce lo chiedono quei tanti profughi che fuggono da guerre che la comunità internazionale non è capace di fermare. Ce lo chiede quella moltitudine di donne e uomini che emigra dalla propria terra quando invece vorrebbe trovare ragioni di vita e dignità nel luogo in cui è nato e cresciuto.

Sì serve un cambio di passo, un mutamento di paradigma. Serve la consapevolezza che il destino del mondo - e il destino di ciascuno di noi - richiede una assunzione di responsabilità individuale e collettiva. E che nessuna anonima tecnologia può sostituire la ragione umana, i sentimenti che muovono cuore e cervello, le relazioni interpersonali, il senso di appartenenza a una comunità, i valori civici e sociali che presiedono alla convivenza.

Da questa dolorosa epidemia il mondo uscirà. Ma non è indifferente se la archivierà come un brutto incidente o ne trarrà forza per intraprendere un cammino nuovo.

 

Piero Fassino – Centro Studi di Politica Internazionale

 

 

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IL RITORNO ALLA CAMPAGNA

 

Tornare a vivere in campagna è il sogno bucolico di tutti, c’è l’aria buona, il contatto con la natura e gli animali, c’è la terra da coltivare oppure un piccolo orto. Magari è l’occasione per mettere a frutto quel pezzettino di terra di famiglia ereditato dai nonni, di utilizzare le nuove conoscenze, i nuovi strumenti digitali per restare a contatto con il mondo e di coltivare bio.
I numeri sembrano avallare ed incoraggiare questo indirizzo, il ritorno alla campagna è un dato ormai affermato, è qualcosa di più di un piccolo fenomeno, è una vera tendenza.
Secondo dati Istat e studi di Coldiretti, il PIL agricolo nello scorso anno si è attestato al 3,6%, in netta controtendenza rispetto ad altri settori, ma non è tutto oro quello che luce, perché a prosperare sono i grandi mentre i piccoli faticano, arrancano, boccheggiano e spesso purtroppo si arrendono.
Ogni anno in Italia chiudono 60.000 aziende agricole e a strangolarle non sono i cambiamenti climatici, che pure fanno la loro parte. Le nuove aziende non raggiungono neanche la metà di quelle che chiudono.
A uccidere le piccole aziende e a soffocare la passione di decine di migliaia di piccoli produttori, oltre alla guerra dei prezzi (per cui a volte non conviene nemmeno raccogliere ciò che si è prodotto ) è un coacervo di leggi e leggine, spesso in contrasto tra loro, difficili da capire, vessatorie.
Potrei raccontare numerose esperienze personali, ma preferisco le testimonianze di Susanna Tamaro, riportate nel libro “Noi e lo Stato, siamo ancora sudditi” a cura di Serena Sileoni, dove la famosa scrittrice racconta con altri scrittori le esperienze di varie persone, a dimostrazione della sconfortante tesi secondo cui noi italiani, in realtà fatichiamo a diventare dei cittadini a tutti gli effetti, perché in realtà siamo ancora sudditi di uno Stato vessatorio.
La Tamaro, dopo il successo del best seller “Va dove ti porta il cuore” si ritirò in campagna per mettere le ali al suo sogno di ritornare alla terra, dell’autenticità del rapporto con le stagioni, per cucinare i propri prodotti. Cominciò a ristrutturare una cascina che aveva acquistato e pensò, in pieno rispetto dell’ambiente di dotarla di un impianto fotovoltaico. La scrittrice si è divertita a pesare i documenti che le sono stati necessari per avere tutte le autorizzazioni: ben 2 chili di scartoffie.
Ma come, non fanno che ripeterci che l’energia fotovoltaica è l’energia del futuro, che addirittura ci sono sgravi fiscali e invece per arrivare alla meta si deve affrontare un percorso ad ostacoli di questo genere!
Ma perché, per quale motivo, si chiede la scrittrice, un produttore deve fare attenzione che le sue zucchine non siano più lunghe di 13 centimetri, altrimenti sono illegali secondo le normative europee?
Per quale motivo un grappolo di ribes deve avere almeno 12 chicchi, altrimenti non può essere immesso sul mercato secondo le regole comunitarie? Qual è il senso?
Ed i controlli degli ispettori del lavoro e dell’Inps? In generale i controlli sono una garanzia per i consumatori e anche per gli stessi agricoltori, dal momento che li preservano dalla concorrenza sleale e dal lavoro nero, ma spesso, come recita un vecchio proverbio, l’eccesso di cure ammazza il cavallo, e così la selva di norme finisce per strangolare proprio coloro che dovrebbe proteggere.
Susanna Tamaro racconta un po' di storie che la riguardano da vicino, ma chiunque si trova a coltivare un fazzoletto di terra ne potrebbe raccontare delle altre.
Dunque, lo scorso anno, la vendemmia di un suo conoscente è stata interrotta dalla visita degli ispettori dell’Inps. Il lavoro degli ispettori è un lavoro encomiabile, nobile se vogliamo, a loro spetta la verifica dell’esistenza di violazione delle norme, che specie nel mondo agricolo possono nascondere la schiavitù del caporalato.
In quel caso però nella vigna non c’era niente del genere, c’erano 13 operai al lavoro regolarmente registrati, mancava il quattordicesimo, anch’egli registrato. E’ malato, ha la febbre, sta a casa fu la motivazione dell’azienda. Questa cosa però insospettisce gli ispettori che decidono di fare un accertamento, dunque vendemmia sospesa. Scottato da quella esperienza, il vignaiolo l’anno successivo compra una macchina vendemmiatrice e lascia a casa i quattordici stagionali.
A Susanna Tamaro è stato chiesto, ad esempio, il passaporto per i quattro asini che aveva nella fattoria. Infatti, in questo Paese, c’è stato un periodo in cui veniva chiesto il passaporto per i ronzini, lei non lo sapeva, ne aveva quattro e a tremila euro di multa a capo dovette sborsare ben dodicimila euro. Due anni dopo il ridicolo balzello fu cancellato.
La testimonianza della scrittrice si conclude con una storia capitata ad una sua vicina che aiuta il marito in un’azienda che alleva bovini da carne e produce cereali, con annesso un piccolo agriturismo. Fu proprio mentre puliva una stanza in attesa degli ospiti che le piombano addosso i controllori dell’Inps.
A che titolo lei lavora in questa casa? le chiedono
Veramente sono la proprietaria, risponde la donna.
Non è vero, contestano gli ispettori, la casa è intestata a suo marito.
E’ vero, dice la donna, ma siamo sposati da quarant’anni.
Ma lei non ha il contratto di lavoro, ribattono gli ispettori.
Ma sono la moglie! fu la flebile risposta della signora.
Niente da fare, la scelta era tra pagare 20.000 euro di multa o iscriversi all’Inps, nonostante i sessant’anni di età.
Gabelle, tasse, multe kafkiane, come si fa sostenere l’impresa, a incentivare gli investimenti, se lo stesso Stato che li promuove ci aspetta poi dietro la porta con la mannaia in mano?

Non sarà anche per questo che Marcello Marchesi si chiedeva: “perché denunciare il reddito dopo il bene che vi ha fatto?” 

 

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L’AGRICOLTURA BIODINAMICA

 

 

Alla scoperta di un metodo di coltivazione del tutto in sintonia con la natura

Quando il teosofo ed esoterista Rudolf Steiner delineò i principi dell’agricoltura biodinamica non poteva certo immaginare il successo e il grande interesse che avrebbe generato nei decenni a venire. Era il 1924 e il mondo viaggiava tra due guerre mondiali, alla ricerca dello sviluppo totale con un’industrializzazione sempre più presente e la chimica che si preparava a sostenere le produzioni agricole.

L'agricoltura biodinamica è un insieme di pratiche pseudoscientifiche basate sulla visione spirituale antroposofica del mondo ed attuate durante la produzione agricola. Lo scopo è il raggiungimento di una agricoltura in maggiore equilibrio con l'ecosistema terrestre. La cosiddetta agricoltura biodinamica incorpora anche alcuni dettami dell'omeopatia e alcune tecniche dell'agricoltura biologica e, con un approccio definito olistico, considera come un unico sistema il suolo e la vita che si sviluppa su di esso.

Il massimo sviluppo della biodinamica si ebbe in opposizione alla rivoluzione verde degli anni ’60. La prima spingeva per una concezione della produzione di cibo in tutto e per tutto rispettosa dei tempi naturali, l’altra stressava le risorse e grazie agli input esterni, come antiparassitari e concimi chimici, provocò un grande incremento nella produttività dei terreni. Sta di fatto che chiunque abbia la passione per l’agricoltura, in fondo in fondo tratta le piante come se fossero esseri senzienti e “spirituali”. E’ questa la base dell’agricoltura biodinamica: un’unione di pratiche agricole del tutto naturali con la fusione di aspetti spirituali sfocianti a volte nell’esoterismo.

Proviamo a prendere gli aspetti più apprezzati. In primo luogo il terreno va rispettato ed è per questo che si utilizza il sovescio come pratica finalizzata alla concimazione del suolo e consiste nel rigirare e “sotterrare” le piante spontanee cresciute nel terreno. Ciò permette di aumentare la materia organica nel terreno, rallentare i fenomeni erosivi e mantenere il contenuto di azoto. Le piante più indicate da sotterrare sono le leguminose.

In secondo luogo non si utilizzano preparati di sintesi per accrescere la produttività o per proteggere le piante, ma al contrario attraverso le sinergie e consociazioni tra piante si potenziano le possibilità naturali di affrontare eventuali parassitosi o situazioni ambientali sfavorevoli.

L’acqua va centellinata e si utilizza come solvente di preparati “omeopatici” per sostenere le piante in crescita. Grande importanza viene data al calendario delle semine in relazione alle fasi lunari. Ad esempio insalata, cicoria, finocchio e cipolla vogliono la luna calante mentre le leguminose e i cavoli quella crescente

Invocazioni e preghiere sono assolutamente necessarie, ma dopotutto quale contadino tra sé e sé non ha espresso qualche desiderio lavorando al proprio campo?

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DAI NOSTRI ULIVETI IL PREZIOSO OLIO EVO

 

L’acronimo, che sta per Olio Extravergine d’Oliva, si prefigge di esaltarne le qualità distinguendolo dall’Olio Vergine di Oliva.

L’olio EVO viene infatti ricavato dalla sola spremitura di olive sane che non hanno mai toccato terra e la cui lavorazione avviene esclusivamente con supporti meccanici, senza subire trattamenti chimici.

L’acidità dell’olio EVO non è mai superiore allo 0,8%.

L’Olio Vergine d’Oliva, al contrario, subisce alcuni passaggi con agenti chimici che ne alterano le caratteristiche qualitative: ad esempio la vitamina E si deteriora e l’acidità può arrivare al 2% causando problemi digestivi.

L’olio EVO è un condimento antico e salutare, un alimento base della dieta mediterranea che se consumato nelle giuste quantità ha effetti benefici universalmente riconosciuti in virtù delle sue sostanze polifenoliche antiossidanti, fondamentali per la nostra salute.

Per essere certi di acquistare un prodotto 100% italiano, Coldiretti consiglia di rivolgersi direttamente ai produttori olivicoli, nei frantoi oppure nei mercati di Campagna Amica, dove è possibile assaggiare l’olio EVO prima dell’acquisto e riconoscerne le caratteristiche positive.

Per l’acquisto nei supermercati bisogna prestare molta attenzione alle etichette e acquistare extravergini a denominazione di origine Dop, quelli in cui è esplicitamente indicato che sono stati ottenuti al 100 per 100 da olive italiane

Per gli oli ottenuti da olive straniere è quasi impossibile, nella stragrande maggioranza dei casi, leggere le scritte in etichetta, obbligatorie per legge, come miscele di oli di oliva comunitari, miscele di oli di oliva non comunitari oppure miscele di oli di oliva comunitari e non comunitari perché è riportata in caratteri molto piccoli, posti dietro la bottiglia e, in molti casi, in una posizione scarsamente visibile.

 

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Clima, il DL  del ministro Costa è un attacco all’agricoltura italiana

 

Nella bozza del D.L. clima c’è paradossalmente anche un attacco senza precedenti all’agricoltura italiana che rischia di mettere fuori mercato il Made in Italy rispetto ai partner europei e di condannare all’abbandono e al dissesto idrogeologico gran parte del territorio nazionale. E’la denuncia di Coldiretti in riferimento al provvedimento del Ministro dell’Ambiente Sergio Costa nel sottolineare che la proposta di riduzione dei sussidi ritenuti ambientalmente dannosi colpirebbe anche i carburanti per la pesca e per l’agricoltura.

Il gasolio è l’unico carburante utilizzabile al momento per i trattori e tassarlo non porterebbe alcun beneficio immediato in termini di utilizzo di energie alternative, a favore delle quali dovrebbe invece essere sviluppato un programma di ricerca e di sperimentazione per i mezzi agricoli.

L’aumento dei costi del carburante ma anche la revisione della fiscalità sull’attività di allevamento – denuncia Coldiretti costringerebbero semplicemente molti pescatori, agricoltori e allevatori a chiudere la propria attività con un devastante impatto ambientale soprattutto nelle aree interne più difficili. Il risultato sarebbe solo la delocalizzazione delle fonti di approvvigionamento alimentare con un enorme costo ambientale legato all’aumento dei trasporti inquinanti su gomma dall’estero.

L’aumento delle tasse sull’attività di impresa in agricoltura e nella pesca – sostiene la Coldiretti - contraddice inoltre gli obiettivi definiti nel programma di Governo e fa perdere competitività al sistema italiano rispetto ai concorrenti degli altri Paesi Europei che non sono colpiti dallo stesso inutile balzello.

 

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Orto, come combattere le malattie fungine secondo l’antica tradizione

I segreti per la preparazione della poltiglia bordolese, il più antico ed imbattuto anticrittogamico utilizzato anche nelle colture biologiche 

 

Tra i parassiti, i funghi meritano una menzione speciale per la loro capacità di distruggere interi raccolti. Alternariosi, antracnosi, peronospora, septoriosi, ticchiolatura sono solo alcune delle malattie che la pianta può maturare senza che l’ortolano se ne accorga in tempi utili per intervenire. Sono chiamate malattie crittogamiche, ossia micosi delle piante.

Per combatterle con un metodo utilizzato anche nel biologico, dobbiamo rifarci alle tradizioni contadine. Per preparare il composto è necessario mescolare due soluzioni acquose: la prima consiste in 9 litri di acqua per un etto di solfato di rame, mentre la seconda è formata da 1 litro di acqua in cui sciogliere 70-80 gr di calce idrata. Una volta ottenute le due soluzioni, si possono unire in questo miscuglio di colore azzurro che dovrà essere spruzzato, tramite vaporizzatore, in modo uniforme sulle piante da trattare. Guanti e mascherine sono consigliabili. L’azione acida del solfato di rame agirà sui funghi mentre la calce idrata conferirà maggiore durata al trattamento.

Più aumenta l’acidità, ossia la concentrazione di solfato di rame, più avremo effetto immediato ma meno duraturo nel tempo. Al contrario, aumentando la concentrazione di calce idrata l’effetto fungicida sarà meno potente, ma più duraturo.

 

Naturalmente il trattamento andrà effettuato in giorni senza pioggia. Per questo, prima della stagione autunnale, sarà il caso di provvedere ad un’azione preventiva. Munitevi quindi di recipienti graduati, e correte in un qualunque garden per acquistare gli ingredienti.

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 GIORNATA MONDIALE DELLA DESERTIFICAZIONE

 

 

Lunedì 17 giugno si è celebrata la Giornata Mondiale per la lotta alla desertificazione, indetta nel 1995 dalle Nazioni Unite per ricordare l'adozione a Parigi il 17 giugno 1994 della Convenzione per la Lotta alla Desertificazione.

La siccità è tra le emergenze che preoccupano di più gli studiosi del clima e a rischio è soprattutto il Sud.

E’ un problema molto più concreto di quanto si possa pensare. Secondo le Nazioni Unite, nel 2025 un miliardo ottocento milioni di persone vivranno in condizioni di assoluta scarsità d’acqua e due terzi del mondo si troverà in uno stato di carenza idrica.

Per quel che ci riguarda 1/5 del territorio nazionale è a rischio desertificazione a causa dei cambiamenti climatici.

Entro la fine di questo secolo, le previsioni parlano per l’intero bacino del Mediterraneo di aumenti delle temperature tra i quattro e i sei gradi ed una significativa riduzione delle precipitazioni soprattutto estive.

L’unione di questi due fattori provoca l’aridità delle campagne dove a preoccupare è anche il consumo di suolo a causa della cementificazione.

Quest’anno in Italia, dopo i primi quattro mesi segnati da una grave siccità con un quarto  di pioggia in meno, è seguito un maggio molto piovoso, con tempeste di grandine e violenti temporali che hanno provocato milioni di danni alle produzioni agricole.

La Regione in assoluto più a rischio è la Sicilia (70%), seguita da Puglia (57%), Molise (58%), Basilicata (55%) mentre Sardegna, Marche, Emilia Romagna, Umbria, Abruzzo e Campania sono comprese tra il 30 e il 50%. Colpiti dalla desertificazione 13 Stati membri dell'Ue: Italia, Bulgaria, Cipro, Croazia, Grecia, Lettonia, Malta, Portogallo, Romania, Slovacchia, Slovenia, Spagna e Ungheria.

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Invasione di cavallette in Sardegna e cimice asiatica nel Nord Italia: danni nei campi per milioni di euro.

                        

L’invasione di cavallette è per i contadini una paura ancestrale, diventata una punizione biblica. Hanno invaso le campagne del nuorese in Sardegna e con il caldo improvviso dopo un maggio relativamente freddo, si stanno riproducendo alla velocità della luce.

Tra le cause scatenanti il fatto che tanti terreni sono in abbandono ma a subire danni sono le diverse aziende agricole attive, soprattutto zootecniche, per circa 2000 ettari di terra. In alcune zone tra Ottana, Olotana e in particolar modo Orani ci sono zone in cui si cammina su tappeti di milioni di cavallette. 

Per la Sardegna le cavallette che oscurano il cielo non sono una novità, negli anni 40 l’infestazione arrivò a colpire il 60% dell’Isola e si arrivò persino allo stop di tutte le coltivazioni, anche per utilizzo umano.

 

                           

La cimice marmorata asiatica (Halyomorpha halys), importata con il mercato globale da Cina, Giappone e Taiwan, fino ad ora tenuta anche essa sotto controllo dalle basse temperature di una primavera ostile, ha ripreso la sua attività, non contrastata da nemici naturali, come testimoniano le diverse segnalazioni degli agricoltori del Nord Italia. 

La Commissione Agricoltura del Senato ha approvato all’unanimità ad aprile una risoluzione contro l’invasione della cimice asiatica che impegna il Governo ad approvare rapidamente il decreto ministeriale per l’immissione di specie e popolazioni non autoctone di organismi antagonisti di insetti alieni nel territorio italiano e ad accelerare le altre fasi dell’iter per autorizzare l’uso della vespa samurai (Trissolcus japonicus), antagonista naturale della cimice.

Coldiretti pertanto chiede che sia data la massima priorità ad accelerare quanto più possibile le fasi dell’iter di autorizzazione in modo da consentire l’azione in campo contro la cimice asiatica già durante la campagna agricola 2019.

 

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                                                IL RITORNO ALLA CAMPAGNA

                  

 

 

 Tornare a vivere in campagna è il sogno bucolico di tutti, c’è l’aria buona, il contatto con la natura e gli animali, c’è la terra da coltivare oppure un piccolo orto. Magari è l’occasione per mettere a frutto quel pezzettino di terra di famiglia ereditato dai nonni, di utilizzare le nuove conoscenze, i nuovi strumenti digitali per restare a contatto con il mondo e di coltivare bio. 

I numeri sembrano avallare ed incoraggiare questo indirizzo, il ritorno alla campagna è un dato ormai affermato, è qualcosa di più di un piccolo fenomeno, è una vera tendenza.

Secondo dati Istat e studi di Coldiretti, il PIL agricolo nello scorso anno si è attestato al 3,6%, in netta controtendenza rispetto ad altri settori, ma non è tutto oro quello che luce, perché a prosperare sono i grandi mentre i piccoli faticano, arrancano, boccheggiano e spesso purtroppo si arrendono.

Ogni anno in Italia chiudono 60.000 aziende agricole e a strangolarle non sono i cambiamenti climatici, che pure fanno la loro parte.

A uccidere le piccole aziende e a soffocare la passione di decine di migliaia di piccoli produttori, oltre alla guerra dei prezzi (per cui a volte non conviene nemmeno raccogliere ciò che si è prodotto ) è un coacervo di leggi e leggine, spesso in contrasto tra loro, difficili da capire, vessatorie.

Potrei raccontare numerose esperienze personali, ma preferisco le testimonianze di Susanna Tamaro, riportate nel libro “Noi e lo Stato, siamo ancora sudditi” a cura di Serena Sileoni, dove la famosa scrittrice racconta con altri scrittori le esperienze di varie persone, a dimostrazione della sconfortante tesi secondo cui noi italiani, in realtà fatichiamo a diventare dei cittadini a tutti gli effetti, perché in realtà siamo ancora sudditi di uno Stato vessatorio.

La Tamaro, dopo il successo del best seller  “Va dove ti porta il cuore” si ritirò in campagna per mettere le ali al suo sogno di ritornare alla terra, dell’autenticità del rapporto con le stagioni, per cucinare i propri prodotti. Cominciò a ristrutturare una cascina che aveva acquistato e pensò, in pieno rispetto dell’ambiente di dotarla di un impianto fotovoltaico. La scrittrice si è divertita a pesare i documenti che le sono stati necessari per avere tutte le autorizzazioni: ben 2 chili di scartoffie. 

Ma come, non fanno che ripeterci che l’energia fotovoltaica è l’energia del futuro, che addirittura ci sono sgravi fiscali e invece per arrivare alla meta si deve affrontare un percorso ad ostacoli di questo genere!

Ma perché, per quale motivo, si chiede la scrittrice, un produttore deve fare attenzione che le sue zucchine non siano più lunghe di 13 centimetri, altrimenti sono illegali secondo le normative europee?

Per quale motivo un grappolo di ribes deve avere almeno 12 chicchi, altrimenti non può essere immesso sul mercato secondo le regole comunitarie? Qual è il senso?

Ed i controlli degli ispettori del lavoro e dell’Inps? In generale i controlli sono una garanzia per i consumatori e anche per gli stessi agricoltori, dal momento che li preservano dalla concorrenza sleale e dal lavoro nero, ma spesso, come recita un vecchio proverbio, l’eccesso di cure ammazza il cavallo, e così la selva di norme finisce per strangolare proprio coloro che dovrebbe proteggere.

Susanna Tamaro racconta un po' di storie che la riguardano da vicino, ma chiunque si trova a coltivare un fazzoletto di terra ne potrebbe raccontare delle altre.

Dunque, lo scorso anno, la vendemmia di un suo conoscente è stata interrotta dalla visita degli ispettori dell’Inps. Il lavoro degli ispettori è un lavoro encomiabile, nobile se vogliamo, a loro spetta la verifica dell’esistenza di violazione delle norme, che specie nel mondo agricolo possono nascondere la schiavitù del caporalato.

In quel caso però nella vigna non c’era niente del genere, c’erano 13 operai al lavoro regolarmente registrati, mancava il quattordicesimo, anch’egli registrato. E’ malato, ha la febbr   e, sta a casa fu la motivazione dell’azienda. Questa cosa però insospettisce gli ispettori che decidono di fare un accertamento, dunque vendemmia sospesa. Scottato da quella esperienza, il vignaiolo l’anno successivo compra una macchina vendemmiatrice e lascia a casa i quattordici stagionali.

A Susanna Tamaro è stato chiesto, ad esempio, il passaporto per i quattro asini che aveva nella fattoria. Infatti, in questo Paese, c’è stato un periodo in cui veniva chiesto il passaporto per i ronzini, lei non lo sapeva, ne aveva quattro e a tremila euro di multa a capo dovette sborsare ben dodicimila euro. Due anni dopo il ridicolo balzello fu cancellato.

               

 

 La testimonianza della scrittrice si conclude con una storia capitata ad una sua vicina che aiuta il marito in un’azienda che alleva bovini da carne e produce cereali, con annesso un piccolo agriturismo. Fu proprio mentre puliva una stanza in attesa degli ospiti che le piombano addosso i controllori dell’Inps.

A che titolo lei lavora in questa casa? le chiedono 

Veramente sono la proprietaria, risponde la donna.

Non è vero, contestano gli ispettori, la casa è intestata a suo marito.

E’ vero, dice la donna, ma siamo sposati da quarant’anni. 

Ma lei non ha il contratto di lavoro, ribattono gli ispettori.

Ma sono la moglie! fu la flebile risposta della signora.

Niente da fare, la scelta era tra pagare 20.000 euro di multa o iscriversi all’Inps, nonostante i sessant’anni di età.

Gabelle, tasse, multe kafkiane, come si fa sostenere l’impresa, a incentivare gli investimenti, se lo stesso Stato che li promuove ci aspetta poi dietro la porta con la mannaia in mano?

Non sarà anche per questo che Marcello Marchesi si chiedeva: “perché denunciare il reddito dopo il bene che vi ha fatto?”

 

 

 

 

 

 

 

 


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FIORISCE L’IRIS SETINA

 

E’una rara pianta autoctona di Iris scoperta dal prof. Ignazio Ricci (1922 – 1986), botanico di fama nazionale e docente di Botanica all’Università La Sapienza di Roma, facoltà di Scienze Naturali.

Il prof. Ricci, fratello di don Lionello, nelle sue ricerche sul territorio laziale individuò nel colle di Sezze, nei pressi della Madonna dell’Appoggio e di Monte Trevi una rara pianta selvatica di Iris, che in omaggio alla città natale chiamò Iris Setina.

E’ una pianta perenne rizomatosa appartenente alla famiglia delle Iridacee e differisce dall’iris germanica, ibrido assai diffuso in Europa, per la taglia più contenuta.

Da giovane studente di Scienze Naturali, mi recai un giorno a trovarlo presso l’Orto Botanico della facoltà e mi mostrò con l’orgoglio di vero sezzese un numero imponente di varietà di erbe commestibili spontanee, che era possibile trovare nei campi setini. Tra queste ricordo molto bene gli schiàvugni, sorta di broccoletti acquatici e le cannèle d’acqua, un tempo assai ricercate per “aggiustare ad insalata” e che ancora oggi è possibile trovare presso alcuni ruscelli della campagna. 

 

 

                            In primo piano gli Schiavugni riconoscibili dalle infiorescenze bianche

 

 

                                                                           Candele d'acqua 

 

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2 febbr. 2019           RESILIENZA E AGRICOLTURA

  

In ambito rurale è l’approccio con cui una comunità affronta il cambiamento, mantenendo inalterati quei caratteri identitari che per secoli hanno garantito la sostenibilità della vita in campagna. Richiede modelli agro-ecologici per la produzione di cibo che preservino la ricchezza dei suoli, degli ecosistemi ed il benessere delle persone, che permettono alle famiglie contadine di essere i custodi della biodiversità.

Questo permetterebbe di resistere e riprendersi dai disastri ambientali come alluvioni, siccità o conflitti, riducendo la sofferenza umana e l’impatto economico.

La resilienza, e a sua volta l’agro-ecologia, promuovono un nuovo approccio di vita, basato e costruito sul concetto di locale in quanto, oltre ad essere risposta, è anche prevenzione della crisi ambientali e sociali.

L’agricoltura familiare è la protagonista indiscussa di questo processo, poiché cerca di preservare i prodotti alimentari tradizionali, contribuendo a un’alimentazione equilibrata e difendendo, a livello mondiale, l’agrobiodiversità e l’utilizzo sostenibile delle risorse naturali.

La conoscenza approfondita della propria terra e la capacità di gestirla in modo sostenibile, permettono ai piccoli agricoltori di migliorare molti servizi ecosistemici, trasformandosi così in un’opportunità per rafforzare le economie locali, soprattutto se associate a politiche specifiche destinate alla tutela sociale e al benessere delle comunità.

Gli agricoltori, in quanto custodi dell’agricoltura, delle sementi, delle risorse naturali e della conoscenza tradizionale, riducono la loro dipendenza dal mercato attraverso l’applicazione di sistemi agricoli che diventano ecologicamente, socialmente ed economicamente sostenibili. In questo senso l’agricoltura industriale non ha solo contribuito a danneggiare l’ambiente, ridurre i nutrienti nelle colture, aumentare i problemi di salute, incidere pesantemente sul cambiamento climatico, ma ha anche tentato di schiacciare modelli alternativi di produzione agroalimentare.

Inoltre, nonostante la sfida di produrre abbastanza cibo per tutti sia stata vinta da questo sistema, le statistiche dimostrano i limiti intrinsechi del sistema alimentare attuale, con l’impossibilità di garantire l’accesso ad un cibo sano per tutti.

Secondo gli ultimi dati Fao il numero di persone che soffrono la fame nel mondo è tornato ad aumentare, passando dai 795 milioni del 2015 a 815 del 2016 (11% della popolazione mondiale).

Le principali cause di questo aumento sono proprio i violenti conflitti e gli shock climatici. I danni ambientali prodotti da un sistema e da politiche sconsiderate mettono in discussione la capacità dei nostri ecosistemi di produrre abbastanza cibo per sfamare una popolazione mondiale che nel 2050 avrà superato il 9 miliardi di persone. L’unica reale risposta rimane quindi l’agricoltura familiare.

Di fondamentale importanza è inoltre il coinvolgimento dei cittadini che hanno un ruolo essenziale nell’orientare l’industria agro-alimentare. Ed è proprio in questo contesto che si inserisce il lavoro svolto dalla Fondazione Campagna Amica: attraverso i suoi mercati locali vengono proposti prodotti che conservano la biodiversità nostrana, promuovendo un processo di sviluppo sostenibile a livello ambientale, sociale ed economico.

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 Prossimamente, in occasione della 50ª Sagra del 7 aprile: 

http://www.setino.it/sagra2019-b.htm 

 

 

 Il libro, scritto da un protagonista della coltivazione e commercializzazione dei carciofi, nonché conduttore di un’azienda storica del Comune di Sezze, racconta la storia del carciofo dalle origini, quando si coltivava in consociazione ad altri ortaggi nei terrazzamenti sulla collina per il solo uso locale, sino alla sua espansione nella pianura bonificata. Racconta della fondazione di Sezze Scalo grazie al mercato dei carciofi, degli usi e consuetudini legati a questa eccellenza, diventata nel tempo parte integrante del patrimonio storico e culturale della città di Sezze. Parla della necessità di conservarne la biodiversità e le caratteristiche organolettiche che lo hanno reso famoso in Italia e all’estero, preservandole dall’omologazione e dalle insidie del mercato globale senza regole.

 

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Presentazione del Priore della Confraternita

Avv. Sinuhe Luccone 

Come priore della confraternita sono orgoglioso di poter presentare quest’opera perché ci ha permesso di capire appieno l’importanza di appartenere ad un sodalizio che vanta una tradizione secolare fatta di opere di bene e di preghiera.

E’ un opera che vede la luce dopo oltre cinque anni di lavoro di ricerca in cui non sono mancate le difficoltà dovute alla  ricerca dei documenti di archivio necessari per ricostruire la storia di un pio sodalizio che – grazie ai suoi iscritti – ha inciso indelebilmente sul tessuto sociale della città.

Infatti, coloro che sono stati ascritti alla venerabile confraternita del S. Cuore di Gesù di Sezze erano le persone che all’interno della comunità locale godevano di una posizione elevata e di responsabilità, atteso il grado di istruzione che avevano.

Si trovano dunque iscritti notai, medici, avvocati, vescovi, che soprattutto nell’800 hanno influenzato la vita sociale, culturale ed economica del paese. Troviamo le famiglie Carnebianca, De Magistris, Demenica, De Ovis, Fasci, Iucci, Lombardini, Pacifici, Pilorci, Tuccimei, Zaccheo, Boffi e tante altre che avevano un peso notevole nella comunità.Si scopre quante opere di carità e di bene i confratelli hanno fatto nel corso dei secoli alla cittadinanza.

Le finalità che hanno ispirato questa opera sono molteplici. La più importante è quella di svelare una sorgente sconosciuta di insegnamenti spirituali collocati negli anni che vanno dal primo settecento ad oggi in cui emerge la straordinaria  devozione al S. Cuore di Gesù e la figura del nostro Santo fondatore: San Leonardo da Porto Maurizio.

In questo libro possiamo trovare anche preziose notizie sulla fervente vita religiosa a Sezze nel settecento; l’evento straordinario, nel mese di maggio del 1729 della visita di Papa Benedetto XIII a Sezze e lo stretto legame tra il Cardinale Pietro Marcellino Corradini e San Leonardo da Porto Maurizio.

Racconta in 260 pagine le opere più importanti dalla fondazione sino ai nostri giorni e la descrizione  e le manifestazioni di fede  con cui uomini illustri hanno servito il Signore e i propri fratelli con umiltà, devozione e carità che sono i grandi primati della nostra confraternita.

Grazie alla ricerca, Vittorio Del Duca è riuscito a ricostruire le vicissitudini della confraternita e tutte le persone che hanno avuto l’onore di farne parte dal 1745 ad oggi. Un lavoro di una difficolta elevatissima, eseguito solo grazie alla passione e all’amore che l’autore nutre per la confraternita.

Leggendo il libro chiunque troverà la presenza di un suo parente – anche lontano nel tempo –  che ha fatto parte della confraternita, che ha impiegato il proprio tempo alla devozione al S. Cuore attraverso la preghiera e le opere di carità, nascosto sotto l’umile sacco.

E’ l’unica confraternita tra le esistenti ad essere stata fondata direttamente da un Santo. Si apprende che la Confraternita fu artefice della canonizzazione di San Carlo da Sezze, sotto la spinta di Don Vincenzo Venditti, saccone egli stesso e padre spirituale della Confraternita. Ben sette Papi hanno indossato l’umile sacco della penitenza della Confraternita del S. Cuore di Gesù, oltre a San Leonardo da Porto Maurizio, San Gaspare del Bufalo e San Paolo della Croce. Tutto ciò ci fa capire l’importanza di appartenere ad un così nobile sodalizio.

Una responsabilità ancora più gravosa se si pensa che la Confraternita madre di Roma, a cui noi siamo aggregati dal 1767 è estinta e noi siamo gli ultimi eredi di una così gloriosa tradizione. Abbiamo l’obbligo di trasmettere e diffondere alle future generazioni il culto del S. Cuore così come è stato annunciato a Santa  Margherita Maria Alacoque nel convento di Paray Le Monial in Francia, e attirare tutti al S. Cuore di Gesù, la fonte da cui scaturiscono tutte le grazie necessarie alla condizione umana.

Questo libro è uno strumento essenziale per il nostro fine, ed i proventi della vendita del libro andranno interamente devoluti ad opere di carità, come sempre ha fatto la confraternita.

 Il libro è stato donato dall’autore, durante un pellegrinaggio in Terra Santa, alla Biblioteca della Custodia di Terra Santa di Gerusalemme, presso i frati Francescani di San Salvatore.

 

 

    

Un momento della Donazione del libro

alla Biblioteca Generale  di Terra Santa a Gerusalemme

 Dopo un intenso viaggio nei luoghi sacri del Cristianesimo tra Israele e Cisgiordania, culminato con la partecipazione alla Via Crucis del venerdì, lungo la Via Dolorosa di Gerusalemme fino al Santo Sepolcro, il libro sulla Confraternita del Sacro Cuore di Gesù di Sezze è stato donato dall’autore alla Biblioteca Generale della Custodia di Terra Santa. La biblioteca è da oltre 800 anni affidata all’Ordine dei Frati Minori Francescani, ai quali appartennero San Leonardo da Porto Maurizio, fondatore della nostra Confraternita, nonché lo stesso San Carlo da SezzeIl libro è stato catalogato con il codice BGTS-VC-F20-Y

 

 

 

 
 
La Via Crucis del Venerdì a Gerusalemme
lungo la Via Dolorosa ( Stazione I)
 

 La bandiera di Terra Santa, una croce greca potenziata di colore rosso su sfondo biancocontornata da quattro croci più piccole e conosciuta anche con il nome di “croce di Gerusalemme”è il simbolo della Custodia di Terra Santa.

 

Mail di ringraziamento della Biblioteca Generale di Terra Santa

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ROMA - Arriva il villaggio degli agricoltori Coldiretti: un'occasione unica per vivere da vicino, nel cuore della città, la grande bellezza delle nostre campagne. Un’occasione per grandi e piccini, per vivere in città un giorno da contadino, nella stalla con gli animali della fattoria, sui trattori, nell’agriasilo, nell’orto con le verdure di stagione, ma anche per arrivare a scoprire i trucchi di bellezza delle nonne con l’agricosmetica, gustare le ricette tradizionali dei cuochi contadini o acquistare direttamente dagli agricoltori esclusivi souvenir. E se tutto questo non bastasse è inoltre l’unico posto al mondo dove tutti possono fare un’esperienza da veri gourmet con il miglior cibo italiano grazie agli appetitosi menù preparati dagli agrichef Campagna Amica.

 

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Serve stop agli arrivi di riso asiatico a dazio zero

 18 Giugno 2018

 

 

 

 

 

E’ necessario fermare le importazioni di riso asiatico a dazio zero che stanno facendo concorrenza sleale alle produzioni nazionali e comunitarie.

E’ quanto afferma la Coldiretti nel sottolineare che deve scattare al più presto la clausola di salvaguardia prevista dall’Unione Europea relativa alle importazioni massicce di riso dai Paesi asiatici EBA, che hanno dimezzato il già magro prezzo riconosciuto agli agricoltori italiani e che compromette il loro futuro e quello delle loro famiglie.

L’obiettivo – precisa la Coldiretti – è di fermare la possibilità di esportare verso l’Unione Europea quantitativi illimitati di riso a dazio zero, perché la crisi dei prezzi mette a rischio la sopravvivenza e il futuro dell’intera filiera risicola europea.

Un pacco di riso su quattro venduto in Italia contiene prodotto straniero e la produzione asiatica rappresenta circa la metà del riso importato.


La crisi è drammatica e mette a rischio il primato italiano in Europa, dove l’Italia – secondo Coldiretti – è il primo produttore di riso e copre da sola il 50 % dell’intera produzione Ue, con una gamma varietale del tutto unica.

E’necessario che tutti i prodotti che entrano nei confini nazionali ed europei rispettino gli stessi criteri e che dietro gli alimenti, italiani e stranieri in vendita sugli scaffali ci sia un percorso di qualità che riguarda l’ambiente, la salute e il lavoro, con una giusta distribuzione del valore. 

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SICCITA’: DALL’ EMERGENZA ALLA PREVENZIONE

07 Agosto 2017

 

E’ la più lunga a memoria d’uomo e si accompagna a temperature estreme di gran caldo, che secondo le proiezioni potrebbero accompagnarci anche per tutto il mese di settembre, tranne qualche giornata di refrigerio flash.  E’ un evidente segnale dei cambiamenti climatici, con i quali dovremo fare i conti anche nel prossimo futuro.

Non è più una questione che riguarda solo alcune regioni del sud, ma va ben oltre l’intero Paese, coinvolge la nostra vita e quella delle piante e degli animali.

La Coldiretti sottolinea che nei campi coltivati lungo tutta la Penisola, con il grande caldo e la crisi idrica, è sempre più difficile ricorrere all’irrigazione di soccorso per salvare le produzioni.

Si sono avuti importanti cali di produzione sui cereali vernini, quindi grano ed orzo, ma oggi sono in sofferenza i cereali estivi, come il mais, la soia, il girasole.

Sono in sofferenza i foraggi, con il rischio di non avere fieno a sufficienza per gli animali durante l’inverno, ma oltre a questo sono in sofferenza gli ortaggi, la frutta, il pomodoro da industria, i vigneti, gli uliveti, ecc.

E’ un effetto domino molto pericoloso e nel conto bisogna mettere anche lo stress cui sono sottoposti gli animali, che crea un calo di produzione di latte molto importante.

Nel Lazio le criticità maggiori si registrano nella provincia di Latina dove i raccolti sono compromessi fino al 50%  e i danni – tra investimenti sostenuti per le semine, aggravio di spese per gasolio o corrente per irrigare, mancata produzione diretta di foraggio per gli allevamenti e mancato reddito – si attestano tra 90 e i 110 milioni di euro.

E’ una situazione  drammatica di cui non bisogna parlare solo in questi giorni, cosa fondamentale per capire cosa sta succedendo, ma ricordare che davanti a fenomeni sempre più frequenti come quelli che stiamo vivendo, dobbiamo cambiare cultura e passare dall’emergenza alla prevenzione.

Negli ultimi anni, per ogni miliardo speso in prevenzione ne abbiamo spesi due e mezzo per un contenimento solo parziale dei danni. Invertiamo allora la situazione e investiamo strutturalmente sulla capacità di immagazzinare l’acqua quando piove.

Come dice Coldiretti,  il nostro è un Paese in cui nonostante tutto piove ancora molto, però il 90% dell’acqua che viene dal cielo non riusciamo a gestirla.

Serve una politica di invasi intelligente, di corrette dimensioni, sostenibili dal punto di vista ambientale e della loro posizione, che ci aiutino a gestire e mantenere l’acqua quando c’è, per poi restituirla non solo all’agricoltura ma anche all’uso potabile.

Gli impianti di acqua potabile del Paese non hanno avuto una manutenzione costante nel tempo, ci sono perdite nelle reti, sono ancora quelli di sessanta anni fa, progettati per i fabbisogni di una popolazione di gran lunga  inferiore, quindi inadeguati a far fronte all’espansione demografica che si è verificata in tutti questi anni.

 

Necessita un cambiamento drastico di cultura: creiamo subito prevenzione, ammoderniamo gli impianti  e creiamo lavoro rispetto alle situazioni gravi che si stanno verificando, ma soprattutto non  dimentichiamocene all’arrivo delle prime piogge. L’acqua è vita.

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GLI INCENDI E LA LORO PREVENZIONE

 

 

                                          Le colline di Sezze devastate dall'incendio

Brucia Sezze, brucia Sermoneta, brucia l’Italia intera… Gli incendi fanno sempre coppia con la siccità. Tra le cause ci sono sicuramente i piromani, gli interessi della criminalità e la speculazione edilizia, ma c’è anche un altro aspetto fondamentale che dobbiamo considerare, cioè l’assenza dell’uomo e delle sue attività, che dal punto di vista economico non sono più sostenibili.

Dall’Unità d’Italia ad oggi, secondo Coldiretti,  il patrimonio boschivo italiano è raddoppiato, ma mai come in questo momento i boschi non sono più mantenuti.

Ecco perché diciamo che gli agricoltori, in quanto previsto dalla normativa, possono essere utilizzati per gestire il patrimonio boschivo. E’ vero che per tale motivo occorre fare un investimento in prevenzione, ma è altresì vero che per ogni ettaro di bosco andato in fumo, va in fumo anche un patrimonio che vale almeno diecimila euro, la salubrità dell’aria e quindici anni di tempo per ritornare ad un equilibrio naturale ragionevole.  

Sino adesso sono oltre 44.000 gli ettari  incendiati in questa stagione e i danni ammontano ad almeno 500 milioni di euro  ( stima di Coldiretti), ma se agli incendi aggiungiamo le spese di ripristino del patrimonio  arboreo,  ecco che  la cifra va quasi  a raddoppiare.

Allora risparmiamo investendo  in prevenzione, diamo la possibilità agli agricoltori di poter dare il loro contributo, perché sono i primi interessati ad un territorio ben gestito ma anche perché lo vivono e lo conoscono.

E’ chiaro che ci vuole un minimo di sostenibilità economica per poter assumere le persone e per poter gestire un’attività che comunque richiede tempo, competenze e anche attrezzature importanti, ma è anche vero che la prevenzione, intesa come investimento, alla fine si paga da sola  in termini di benefici per l’ambiente, di sicurezza del territorio e di qualità dell’aria che respiriamo.

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L’invasione di ortofrutta straniera fa crollare i prezzi all'origine del Made in Italy- E’ allarme.

 

 Crollano i prezzi all’origine della frutta e verdura Made in Italy, con ribassi fino al 40 per cento delle quotazioni. A lanciare l’allarme è la Coldiretti che ha promosso iniziative di sensibilizzazione attraverso la rete dei mercati di Campagna Amica con dimostrazioni, degustazioni e offerte per dare a tutti la possibilità di consumare un elemento della dieta mediterranea come la frutta, indispensabile per la salute con il caldo estivo.

Il problema interessa un po’ tutte le varietà da albicocche, pesche e nettarine a meloni e angurie, ma anche i pomodorini, con quotazioni alla produzione calati dal 10 al 40% rispetto allo scorso anno.

All’origine del crollo dei prezzi pagati agli agricoltori, che non riescono più a coprire neanche i costi di produzione peraltro balzati alle stelle a causa della siccità, è soprattutto la vera e propria invasione di frutta straniera che viene spesso spacciata per italiana, con le importazioni che hanno raggiunto i 3,9 miliardi di chili all’anno.

Pesche e angurie greche, pomodorini dalle coste africane venduti e nettarine spagnole vengono vendute come nazionali, come dimostra nei giorni scorsi nel porto di Brindisi il sequestro di oltre 19.000 chilogrammi di pesche provenienti dalla Grecia già etichettate come se fossero di origine italiana.

Una situazione che rende ancora più difficile la situazione del frutteto italiano che si è ridotto di un terzo (-33 per cento) negli ultimi quindici anni con la scomparsa di oltre 140mila ettari di piante di mele, pere, pesche, arance, albicocche e altri frutti.

Per tutelare i produttori italiani Coldiretti chiede che sia alzato il livello di attenzione e dei controlli, grazie alla meritoria azione delle forze dell’ordine.

Tra l’altro, in questa estate siccitosa l’ortofrutta italiana, pur nelle difficoltà determinate dalla carenza di acqua, si mostra nella sua forma migliore, prodotti sani e con elevato grado zuccherino, grazie al caldo e all’assenza di precipitazioni.

Da qui le iniziative rivolte ai consumatori per invitarli  a verificare sempre l’etichetta e, quando possibile, di acquistare direttamente dal produttore o nei mercati degli agricoltori di Campagna Amica.

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             AGRICOLTURA E SICCITA’   

      

Salgono a circa 2 miliardi di euro le perdite provocate alle coltivazioni e agli allevamenti da un andamento climatico del 2017 del tutto anomalo che lo classifica tra i primi posti dei più caldi e siccitosi da oltre 200 anni.

E’ quanto emerge dal Dossier di Coldiretti che rileva l’impatto sull’agricoltura nazionale dall’eccezionale situazione climatica.

Nel campi coltivati lungo tutta la Penisola, con il grande caldo e la crisi idrica, per gli agricoltori – sottolinea la Coldiretti – è sempre più difficile ricorrere all’irrigazione di soccorso per salvare le produzioni, dagli ortaggi alla frutta, dai cereali al pomodoro da industria, ma anche i vigneti e gli uliveti e il fieno per l’alimentazione degli animali per la produzione di latte con l’allarme siccità che si è ormai esteso ad oltre i 2/3 della superficie agricola nazionale con maggiori costi e danni in tutte le regioni anche se con diversa intensità.

Nel Lazio le criticità maggiori si registrano a Latina dove sono compromessi fino al 50% i raccolti di mais, ortaggi, meloni, angurie, peraltro colpiti da un mercato difficile. Complessivamente i danni – tra investimenti sostenuti per le semine, aggravio di spese per gasolio o corrente per irrigare, mancata produzione diretta di foraggio per gli allevamenti e mancato reddito – si attestano tra 90 e i 110 milioni di euro.

Lo stato di calamità chiesto dalle 10 Regioni, è bene precisare stante la diffusione di notizie inesatte, che per le aziende agricole si traduce  in una dilazione del pagamento del carico dei contributi previdenziale ed assistenziali per coltivatori diretti ed operai, quindi nessun abbattimento.

Anche i supplementi di carburanti agricoli agevolati, concessi dalla Regione in conseguenza dell’annata siccitosa, quindi per le maggiori spese sostenute per l’irrigazione ed altre operazioni colturali, sono insufficienti e ridicoli. 

      Il fiume Ufente (foto alla migliara 47 di Sezze) sembra non risentire gli effetti della siccità

 

                EMERGENZA INCENDI

Coldiretti promuove un’alleanza tra gli agriturismi a marchio Campagna Amica e Federforeste con l’avvio di una task force per il monitoraggio, la prevenzione degli incendi e la valorizzazione dei boschi.

Le imprese agricole di Coldiretti sono disponibili ad impegnarsi nelle attività di manutenzione, gestione, prevenzione e sorveglianza di boschi e foreste nei confronti degli incendi. Basterebbe solo cogliere le opportunità offerte dalla legge di orientamento, che invita le pubbliche amministrazioni a stipulare convenzioni con gli agricoltori per lo svolgimento di attività funzionali “alla salvaguardia del paesaggio agrario e forestale”.

Gli incendi che stanno devastando il Paese pongono alla ribalta i sistemi di prevenzione, soprattutto nei territori collinari e montani diventati molto più vulnerabili con l’abbandono di pastori, boscaioli ed agricoltori, che non vi trovano più le condizioni di vita.

Oggi, più di ieri, nella lotta agli incendi è determinante la tempestività di intervento, ma ancora più importante è creare una diffusa rete di sorveglianza, ripristinando la presenza capillare sul territorio degli agricoltori.

L’emergenza che stiamo vivendo è drammatica, basti pensare che nel primo semestre del 2017 in Italia sono caduti appena 251 millimetri di pioggia, ben il 30% in meno rispetto alla media di riferimento. Ciò ha causato una storica siccità ma anche le condizioni, più che prevedibili, per il diffondersi degli incendi, provocati in maggior misura da atti criminali.

Gli incendi provocano danni incalcolabili dal punto di vista economico e ambientale dovuti alla perdita di biodiversità (distrutte piante e uccisi animali) e alla distruzione di ampie aree di bosco che sono i polmoni verdi del paese e concorrono ad assorbire l'anidride carbonica responsabile dei cambiamenti climatici.

Si calcola che ogni ettaro di macchia è popolato in media da 400 animali tra mammiferi, uccelli e rettili, ma anche da una grande varietà di vegetali che a seguito degli incendi vanno perduti.

Nelle foreste andate  a fuoco sono impedite per anni anche tutte le attività umane tradizionali del bosco come la raccolta della legna, dei tartufi, e dei piccoli frutti, ma anche quelle di natura hobbistica come i funghi che coinvolgono tantissimi appassionati.

 

Solo il sostegno al lavoro nei boschi, attraverso le convenzioni con gli agricoltori possono rappresentare la condizione per una manutenzione ordinata del verde e per disinnescare fenomeni spesso dolosi di incendi, attraverso la segnalazione agli organi preposti all’attività di spegnimento.

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               ADDIO AI FICHI

 

 Dai fichi a buccia nera detti di S. Pietro, alle varietà  San Giovanni, VerdescaNana, Monaca, a buccia verde, sino alle settembrine, nella zona di Sezze le piante sono autoctone e rustiche e non hanno mai avuto bisogno di alcun trattamento antiparassitario o di cure particolari. Tuttavia oggi si assiste ad una preoccupante morìa di vigorosi esemplari ultadecennali, dovuta alla diffusione di un coleottero di origine orientale, il punteruolo nero, che ha già devastato i fichi della Liguria e della Toscana. Purtroppo non sono stati ancora approntati i mezzi di difesa e se non si agirà immediatamente il parassita è destinato a diffondersi velocemente in tutta Italia, non avendo antagonisti capaci di contrastarlo.

 

 Le piante non hanno prodotto nuovi rami, le foglie sono rade e i frutti non maturano

 La morìa delle piante di fichi riscontrata nel territorio del Comune di Sezze, sembra più estesa di quanto si potesse all’inizio immaginare tanto che è estremamente raro, allo stato attuale, trovare nell'area di pianura piante che non siano state attaccate, particolarmente dalla zona dell’ex “Campo di aviazione” sino alla contrada “Palazzo” e alle “Canalelle” dove finora ha dato luogo ad una produzione precoce di eccellenza, realizzando una discreta economia.

Il fenomeno, notato già negli anni precedenti, si è rivelato in tutta la sua gravità alla ripresa vegetativa di quest’anno, con foglie rade e frutti destinati a rimanere nani e privi della consueta consistenza e sapore. Altre piante sono disseccate completamente dopo un fallito tentativo di ripresa vegetativa, in quanto il processo di disseccamento era già iniziato da qualche anno, altre non hanno ripreso a vegetare  dopo la dormienza invernale. A Sezze non era ancora suonato il campanello d’allarme perché, dai più, questa morìa era stata addebitata ai geli del mese di aprile, mentre è risaputo che i fichi sono in grado di sopportare senza particolari danni temperature ancora più basse e tardive, come quelle sopraggiunte nel maggio del 1957 che distrussero persino i campi di grano.

Responsabile del disastro è un coleottero, il punteruolo nero, che da qualche anno sta interessando la Liguria e la zone toscane del Lucchese, del Pistoiese e del Fiorentino. In particolare l'attacco più imponente è stato localizzato nel comune di Carmignano (Prato), famoso per la produzione di fichi secchi, ma esistono segnalazioni del pericoloso coleottero anche in altre regioni, come le Marche e la Puglia. 

 

Il punteruolo nero del fico - Aclees cribratus 

 Il parassita, figlio della globalizzazione come gli altri che hanno devastato le palme, i castagni e gli uliveti della Puglia, sembra sia giunto al porto di Genova dall’oriente con delle piante infette di fico ornamentale e pare capace di attaccare persino i fichi d'india. La sua diffusione è dovuta al fatto che in Italia non esiste ancora un antagonista specifico, capace di contrastarlo.

 

Il punteruolo nero viene così chiamato perchè è munito di una sorta di becco, rostro, mediante il quale scava gallerie alla base del colletto della pianta, dove depone le uova e produce larve che, dopo 10 - 20 giorni fuoriescono e nutrendosi delle radici appena sotto il colletto, consumano e logorano il circuito linfatico, portando l'albero alla morte. Attacca non solo il legno del tronco, ma anche i frutti stessi della pianta, svuotandoli all'interno e provocandone la marcescenza. Tecnicamente è un coleottero appartenente alla famiglia dei Curcurionidi, che se non arrestato in tempo è destinato ad espandersi velocemente in tutto il resto d'Italia e può distruggere l’intero patrimonio  dei fichi, poiché  non ha antagonisti specifici che possano contrastarlo e non c’è una base scientifica certa per poter portare avanti un efficace programma di difesa. Per ora sono stati fatti monitoraggi sporadici ed occasionali da parte di qualche agricoltore ed appassionati.

 

 

                                                Ecco come si presenta una pianta sana e frondosa 

 Le uniche soluzioni adottabili - consiglia l’agronomo toscano Fabio Di Gioia, che sta studiando il fenomeno già da qualche anno - sono mezzi di lotta preventivi, che si basano sulla soppressione meccanica dell'insetto. ( Come si faceva una volta per il tarlo si può introdurre nelle gallerie un ferro opportunamente infuocato) Se la pianta non è totalmente compromessa e si possono disinfettare le ferite con rame e calce, potrebbe essere ancora salvata. Se, al contrario, la pianta è interamente compromessa, essa va tagliata completamente e bruciata, per evitare la diffusione del parassita.

Un altro rimedio sarebbe quello della difesa a mezzo pesticidi ma non è una strada percorribile perché i principi attivi che potrebbero avere una certa efficacia (deltametrina (Decis), clorpirifos-metile (Reldan 22) o il clorpirifos (Dursban)  non sono al momento registrati dal Ministero della Sanità sul fico.

Una soluzione efficace potrebbe essere quella di fare rete comune tra gli agricoltori, sia per un monitoraggio dello sviluppo del parassita, sia per far leva sulle istituzioni pubbliche, spingendole a prendersi a cuore il problema e a portare avanti la ricerca sul punteruolo nero. Sono ancora pochi, purtroppo, i ricercatori che indagano sulle origini e sulle soluzioni da adottare per combattere questo parassita.

 

Pianta gravemente compromessa da una colonia di punteruolo nero, destinata a morte certa 

 Intanto, come Coldiretti Latina sezione di Sezze, ci stiamo attivando presso il Servizio Fitosanitario della Regione Lazio per le misure necessarie, evidenziando le caratteristiche degli attacchi subiti.

Questo aiuterebbe lo sviluppo delle ricerche e nel contempo metterebbe le istituzioni pubbliche di fronte alla necessità di risolvere la situazione e prendere provvedimenti in sinergia con il monitoraggio costante da parte degli agricoltori.

 

 Varietà di fichi a Sezze

Le  “ficora nane”, così chiamate per il loro portamento e non certo per i frutti, sono le più precoci tra le varietà a frutto verde a giungere a maturazione. Maturano prima delle “ficora S. Giovanni” (24 giugno)  e di quelle a frutto nero dette di “San Pietro” (29 giugno).

Le “ficora monache” si distinguono dalle nane per portamento più alto e per il frutto di colore verde chiaro. Sono anche chiamate in gergo “bianche” o “lazze”, come le monache di clausura dell’ex locale convento delle Clarisse.

La verdesca dal cuore rosso 

Tutte queste varietà danno un secondo raccolto a Settembre, ma in questo mese i frutti si presentano mediamente con pezzatura più piccola, quindi adatti anche per la produzione di fichi secchi, come le altre varietà settembrine denominate “Verdesche”,”Sauci” e “Figoronghia”. Quest’ultima è chiamata così per i frutti che sono grandi quanto un’unghia.

 

 Le gustose e dolci "ficoronghia"

Sui singoli alberi è possibile innestare più varietà di fichi, una pratica assai frequente in passato soprattutto nel territorio superiore della vallata di Suso, quando non si disponeva di grandi spazi e si desiderava godere più a lungo della disponibilità dei dolci e deliziosi frutti.

 

 Fichi messi ad essiccare al sole per farne fichi secchi

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AGRICOLTURA E PAESAGGIO: GLI ASSET NELLE NOSTRE MANICHE

 

L’unico modello vero per la nostra agricoltura, è quello che guarda inizialmente gli interessi generali della collettività e in questi trova le condizioni per fare quelli particolari dell’ impresa. Guardare agli interessi generali significa collocare in cima ai valori il paesaggio, la qualità dell’ambiente, la sostenibilità, la coesione e la sicurezza sociale ed alimentare.

 In cima sta soprattutto il ruolo dell’agricoltura come produttore di un bene comune qual’è il cibo nel nostro paese, nella nostra Regione e nel mondo, senza dimenticare mai che si tratta di un sistema di imprese e, pertanto, deve produrre reddito perché altrimenti muore.

Il concetto di paesaggio è assai profondo e non riguarda solo le bellezze del paese ma anche la felicità delle persone che lo abitano, lo vivono e vi lavorano, riguarda la loro memoria.

Quindi, come poter parlare di paesaggio a Sezze, senza parlare di Agricoltura? Come parlare di paesaggio senza poter parlare del centro urbano? Questa visione del paesaggio ci riguarda nell’intimo e fa parte della nostra identità, non è solo un fatto estetico, ma trova il suo nesso nella salute dei cittadini, intesa come quella del corpo e della mente.

Così, come bere l’acqua inquinata danneggia la salute del corpo, allo stesso modo vedere un paesaggio e le nostre bellezze storiche ed artistiche che vanno in rovina per la cementificazione, gli abusi, gli scempi, le discariche abusive ed inquinanti, rovina la salute della mente, danneggia per primi noi stessi e la nostra memoria, ci dà la consapevolezza che un territorio ferito non giova a nessuno.

Non per niente paesaggio e cultura sono diritti del cittadino, stabiliti dall’art. 9 della Costituzione e quindi da tutelare.

La terra è un bene di tutti e non tutte le sue risorse sono rinnovabili; il messaggio forte da trasmettere alle nuove generazioni è quello di avere amorevolezza per la terra, non già distruggerla come si è fatto sinora.

La politica che non parla a sufficienza di questo bene preziosissimo che è la terra, è una politica strabica e vedere solo l’aspetto di come farla fruttare in termini  propagandistici, senza pensare che è un patrimonio straordinario di tipicità, economia e sostentamento, è estremamente  becero.

Bisogna fermare la situazione drammatica di rubare territorio all’Agricoltura e al paesaggio, di cominciare a ragionare sulle funzioni dell’agricoltura, che non è solo quella di portare  quattro carciofi alla Sagra, ma è una risorsa immensa da troppo tempo  trascurata.

Si può creare economia curando il territorio, mettendolo in sicurezza  sia sotto il profilo del rischio sismico che di quello idrogeologico, perché sono problemi che dovrebbero preoccuparci e le recenti drammatiche vicende ne hanno evidenziato e testimoniato l’importanza.

Abbiamo una realtà impressionante di bellezze che stiamo distruggendo, un territorio interamente vocato ad un’agricoltura di eccellenza e non riusciamo a comprendere come questa sia la nostra miniera, l’asset nelle nostre maniche per uno sviluppo armonioso, equilibrato e sostenibile.

Il grande Pasolini diceva che quando questo Paese perderà i contadini, non avrà più storia. Contadini ed artigiani, dico io !

Stiamo andando a tappe forzate e l’assurdo è che abbiamo una situazione mediatica impressionante, perché su ogni media, su qualsiasi televisione che si accende, in qualsiasi ora del giorno e della notte, c’è qualcuno che parla e parla alle prese con  padelle e casseruole. Ma se poi mancano i contadini che coltivano, producono e  curano il territorio, di che cosa si parla ?

Se continuiamo a devastare ed inquinare il territorio, come sarà domani  l’avvenire nostro e dei nostri figli ? 

 

 

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AGROALIMENTARE: ETICHETTE A SEMAFORO

 

 

 

 Le iniziative di alcuni Paesi europee sui “semafori”, alcune già messe a punto, altre in fieri, sono un campanello di allarme che non possiamo trascurare. L’Unione Europea deve intervenire per impedire un sistema di etichettatura che finisce per suggerire paradossalmente l’esclusione dalla dieta alimenti sani e naturali che da secoli sono presenti sulle tavole per favorire prodotti artificiali di cui in alcuni casi non è nota neanche la ricetta.  L’idea che andando in giro per l’Europa, con uno stesso prodotto, il semaforo possa assumere colorazioni diverse a seconda del paese che lo ospita, ci appare senza dubbio paradossale nel funzionamento di un “mercato unico”.  

In più, l’idea che i sistemi di segnalazione al consumatore possano essere adattabili su base nazionale, peraltro in assenza di un quadro comune di riferimento, lascia potenziale spazio a comportamenti opportunistici dei singoli Stati membri, i cui specifici interessi economici potrebbe influenzare l’architettura dei sistemi di classificazione delle qualità nutritive e salutistiche dei prodotti agro-alimentari. 

Con l’intenzione di promuovere una maggiore responsabilizzazione del mercato verso il consumatore e consapevoli che questo obiettivo può essere garantito innanzitutto promuovendo regimi nutrizionali condivisi, trasparenti e non distorsivi, nasce a Bruxelles l’’’Alleanza europea contro i sistemi di etichettatura a semaforo” tra Coldiretti e Federalimentari, in primo luogo per chiedere all’Europa di intervenire attivamente, definendo un quadro normativo adatto a garantire maggiore trasparenza e univocità sul territorio europeo. Poi per promuovere le soluzioni più adeguate per soddisfare il bisogno di un’informazione sempre più dettagliata e leggibile da parte del consumatore. 

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  De.Co. – Per fare che?

 

 

A parte tutte le considerazioni già espresse sulla inopportunità di anticipare la Sagra a quindici giorni prima di Pasqua, va sottolineato che durante il suo svolgimento sono state consegnate, ai produttori agricoli partecipanti, le attribuzioni De.Co.  (Denominazione Comunale).

L’utilità di questo marchio è chiara solo all’amministrazione comunale, molto meno agli espositori, che lo hanno considerato come un attestato di partecipazione; in realtà il suo valore non si discosta di molto.

Le De.Co. sono l’idea di una valorizzazione del territorio che poteva trovare una sua giustificazione prima della globalizzazione dei mercati, quando nacque ad opera di Luigi Veronelli, non ventisette anni dopo.

Oggi, senza un controllo preventivo alla fonte, del quale i Comuni sono incapaci, le De.Co.produrranno più danni che utili, poiché verranno a legittimare come produzioni locali anche quelle di dubbia provenienza, attualmente spacciate sul territorio, favorendo di fatto le agromafie, i furti di identità, le falsificazioni e gli inganni verso i consumatori e i produttori. Tutti crimini contro i quali Coldiretti si sta battendo da anni, anche con presidi sul territorio, rappresentati da Mercati, Punti vendita e Botteghe di Campagna Amica.

Forse l’Amministrazione comunale starà in buona fede e magari, non disponendo di personale qualificato, pensa davvero di riuscire a tutelare con questo marchio le eccellenze territoriali che rischiano di scomparire dalla nostra tavola, tuttavia non riusciamo a comprendere le ragioni per le quali ha sempre rifiutato l’apporto costruttivo offerto da professionisti del settore, in particolare da Coldiretti, che si è sempre dimostrata disponibile e propositiva, avendo a cuore lo sviluppo del territorio e dell’agricoltura.

Così, con questa forma di gestione autocratica del territorio, il carciofo, che costituiva una grande risorsa economica per il paese, è diventato il ritratto decadente di un’agricoltura che non c’è più.

Anche quest’anno ha fatto registrare una ulteriore e significativa contrazione delle superfici, passando dai circa sessanta ettari della campagna precedente, a qualcosa come 40 ettari; briciole rispetto ai 1500 ettari di cui disponeva nel 1970, anno della prima Sagra.

Ma, in sintesi, cosa sono le DeCo ?  Innanzitutto va sgombrato il campo da equivoci: non sono un marchio di qualità, quindi nessun produttore si aspetti da tale attribuzione di spuntare sul mercato qualche centesimo in più dai suoi prodotti. 

Il fenomeno delle De.Co. nacque a seguito della legge dell’8 giugno 1990 n. 142 che consentì ai Comuni la facoltà di disciplinare, nell’ambito del decentramento amministrativo, la valorizzazione delle attività agro-alimentari ed “artigianali” presenti nelle diverse realtà territoriali. Il suo percorso, sostenuto da una proposta di legge dell’ANCI (Associazione Nazionale Comuni Italiani) non è mai stato lineare e tranquillo, ma fu contrastato da giuristi ed opinion leader, soprattutto nella parte che riguarda l’opportunità per i Comuni di legiferare in tema di valorizzazione dei prodotti.

Si arrivò persino ad uno scontro frontale con il Ministero delle Politiche Agricole che la ritenne foriera di equivoci e di confusione ed ancora oggi è incompatibile con i marchi europei di qualità e tipicità DOC, IGP, DOP, di cui anche Sezze gode. Laddove esistono questi marchi europei, le De.Co. sono passibili di sanzioni ai sensi della normativa che espressamente tutela le indicazioni geografiche.

Vi furono lunghe diatribe, persino se si doveva chiamarsi De.C.O. con tre puntini (Denominazione Comunale di Origine) oppure De.CO. con due puntini, (Denominazione Comunale) ma si arrivò all’acronimo finale De.Co. che non è un marchio di qualità, ma un’attestazione o delibera con cui una determinata amministrazione comunale censisce e registra un prodotto, un piatto, un sapere o una tradizione, che identifica la Comunità di appartenenza.

Oggi, a 27 anni dalla nascita, le De.CO. hanno avuto un discreto successo solamente in una decina di Comuni italiani, mentre sono diverse centinaia le delibere comunali De.Co. rimaste sulla carta, come magnifiche idee di valorizzazione teorica del territorio che non si tradurranno mai in un vero marchio comunale.

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PARERE DEL MINISTERO DELLE POLITICHE AGRICOLE, ALIMENTARI E FORESTALI SULLE De.CO.

 

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2 Aprile 2017 – Sagra del Carciofo: Una primizia anzitempo             

 

  Lo stadio medio dei carciofi di Sezze a 20 giorni dalla Sagra   (Az. Agricola Del Duca)

 La Sagra del Carciofo, è stata sempre storicamente organizzata dopo Pasqua, con due sole eccezioni, quest’anno e nel 2011. Allora la festività cadde il 24 aprile e la sagra nella settimana successiva sarebbe stata troppo tardiva. Ma quest’anno perchè la Sagra è stata così tanto anticipata, nonostante i geli di gennaio abbiano ritardato la produzione ?  Forse chi organizza la Sagra, ha pensato che la produzione locale ha perso di importanza e se ne può fare a meno?

La verità è che la settimana dopo Pasqua, la maggioranza che governa Sezze ha tutt’altro da fare ed è impegnata al Santuario di Lourdes, non per un improvviso quanto inaspettato fervore religioso, ma per magnificare se stessa e l’Associazione della Passione di Cristo, ancor non paghe delle riprese in Mondovisione del venerdì santo. 

Senza voler aprire un altro capitolo, seppure significativo di come certe esteriori e costose performance, stiano più a cuore rispetto agli interessi generali della collettività, non è affatto vero che la Sagra si può fare quando fa comodo.

Esiste una stretta correlazione tra l’arrivo della primavera (quindi dei carciofi) e le festività pasquali, che sta a sottolineare come tutto l’universo obbedisca a delle leggi universali che la dimensione culturale umana non può né ignorare né modificare, che la primavera non arriva con l’equinozio del 20 marzo, bensì al compimento di alcuni cicli lunari che si concludono a Pasqua, determinandone il giorno la domenica.

Anche la saggezza popolare  “ Il meglio ciòcco, riposalo per Pasqua” sta a suffragare  questa eterna realtà.

La natura e le piante hanno dei ritmi  propri  ed immodificabili  rispetto alle attività umane e  l’agricoltura, ha da sempre dovuto fare i conti con il tempo immutato delle stagioni, con lo spazio fisico della terra, con l’energia libera del sole e della luna. Forse per questo ha saputo custodire, meglio che altrove,  quei  geni preziosi,  che il mito transgenico della globalizzazione  senza regole e  del “tutto, subito e ovunque”, ha fatto perdere ai più, causando prodotti tutti uguali ed omologati, come le ciliegie a Natale, i carciofi a gennaio, i cocomeri a Pasqua e svuotando di significato valori come stagionalitàterritorialità e specificità dei prodotti.

La Sagra del Carciofo, oltre ad essere una festa paesana, dovrebbe proprio rammentare e trasmettere questi valori, che noi di Coldiretti stiamo portando avanti con forza anche qui a Sezze, con i Mercati di Campagna Amica. 

Se qualcuno pensa che per fare la Sagra non è più indispensabile che i carciofi crescano a Sezze, a questo qualcuno è bene ricordare che se la gente viene nel nostro paese non è solo per dilettarsi con una festa paesana, in un folklore che degenera nella musica rock , ma per riscoprire sapori autentici, profondamente legati al territorio che li ha generati, alla cultura che li ha prodotti, all’ambiente che li ha alimentati.

Sono questi i valori primari che occorre tutelare e difendere se veramente sta a cuore Sezze, la sua agricoltura e la sua economia, in un mondo che è sempre più artificiale, in cui anche i carciofi sono cambiati perché ne è stato manipolato l’aspetto e il sapore: ibridi da trenta capolini a pianta, tutti uguali, tutti viola, tutti belli, ma tutti sciaguratamente insipidi.

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         RECUPERATO L’ANTICO CECUBO DEI ROMANI

 

          Confronto tra un grappolo di cecubo (a sinistra) e di uva fragola

 

 

L’esame molecolare eseguito al CREA-VIT di Susegana (TV) dalla dott.ssa Manna Crespan su presunte viti di cecubo setino, raccolte sul territorio dal presidente della Sezione Coldiretti di Sezze, Vittorio Del Duca, ha permesso di individuare l’autentica vitis setina, quasi del tutto estinta e allo stato di reliquia.

I campioni di vite, ognuno proveniente da vigne con storie diverse, erano stati avviati  all’esame del Dna attraverso l’ARSIAL (Agenzia Regionale per lo Sviluppo ed Innovazione dell’Agricoltura del Lazio) che ha reso noti i risultati con largo anticipo sul previsto.

Purtroppo, erano in molti a Sezze a credere di conservare ancora questo antico vitigno, ma le analisi molecolari hanno rivelato che nella maggior parte dei casi si tratta di ibridi americani produttori diretti (Jacquet, Rosette, Seibelle 1000) introdotti  forse a fine Ottocento per contrastare l’azione dannosa della fillossera. In altri casi si tratta di interessanti ed antichi vitigni autoctoni già iscritti nel Registro Nazionale delle Varietà di Vite (Lecinaro, Piedirosso, Grero, Montepulciano).

Soltanto un campione è risultato dall’analisi essere l’antico cecubo dei romani e la sua storia è particolare in quanto è stato reimportato sul territorio dal Caecubus Ager di Fondi, cioè dal luogo in cui Appio Claudio il cieco, nel 312 a. C., durante la costruzione della via Appia, trovò l’antico vitigno che prese il suo nome. Cecubo deriva infatti dall’unione delle parole latine “caecum” e “ bibo”, vale a dire la bevanda del cieco.

C’è da fare al riguardo quella grande distinzione, molto comune in enologia, che il clima, il terreno, la varietà di vitigno, la località di produzione, le modalità tecnologiche di vinificazione, diversificando il gusto e il valore dei vini hanno fatto sì che lo stesso vitigno assumesse qualità e denominazioni diverse a seconda della zona di produzione. E’ il caso del vitigno cecubo, che trasferito in tempi remoti dall’ager cecubus tra l’attuale Formia e Fondi ai campi di Sezze si distinse per qualità, pregio e celebrità, tanto da assumere la denominazione di “vitis setina” e il suo vino “vinum setinum”

Plinio nella “Historia Naturalis” ci ha tramandato che il “vinum setinum” nasceva “supra Forum Appii”, nel luogo che la tradizione popolare ha chiamato per tutto l’Ottocento “ Pantano Luvenere ”, a ricordo delle vigne di uve nere. E’ a ridosso di questa zona che nel 1982 fu rinvenuto, lungo il tratturo Caniò, il tempio arcaico della dea Giunone. Peraltro nelle immediate vicinanze scorre il fosso delle Uve Nere proveniente dalla collina, quello che la “storpiazione” dialettale ne ha poi tramutato il nome, dapprima in fosso “Uenére”, poi in “Ueniéro” ed oggi in “Venèreo”. (c.f.r. Vincenzo Tufo -Storia antica di Sezze -1901).


La bonifica di Appio Claudio, come le altre di epoca romana, non miravano a sottrare alla palude nuove terre da coltivare, ma solo a liberare la via Appia dalle acque stagnanti per permettere alle legioni romane di poter scorrere velocemente verso sud, al porto di Brindisi, nell’espansione verso oriente.

Erano cioè vie militari e il territorio ne trasse benefici indiretti e solo parziali, per cui la palude tornò ad avanzare e con essa la vitis setina, che da Foro Appio fu spostata verso monte, nelle cosiddette “ terre alte” e nelle colline di Setia a fare da cornice alle ville romane, di cui ancora oggi se ne ammirano i resti.

Cio è descritto molto bene da Plinio (Storie Naturali) che definisce i colli  setini “ vitiferi colles “ e da Marziale che precisa che la vite setina cresceva nei clivi che si specchiano nella palude pontina, cioè nella parte esposta a mezzogiorno. In tali siti, il vino setino raggiunse l’apice della celebrità, tanto da essere annoverato ai primi posti tra i migliori vini italici (“antea coecubum postea falernum” – Plinio). Era il vino diletto di Cesare Augusto e di tutti gli imperatori successivi perché si diceva che facesse bene allo stomaco   ( Vinum setinum Divus Augustus cunctis praetulit ) tanto che per trarne il massimo giovamento, Augusto fece costruire alle pendici della collina di Setia uno dei suoi “palatium”, i cui ruderi sono oggi conosciuti come “Le Grotte”. La tradizione popolare, a ricordo di quel maestoso “palatium”, indica ancora oggi con il nome   “ Palazzo” tutta la fertile campagna prospiciente i ruderi.

Per vari secoli, la vitis setina fu al centro dell’economia di Sezze insieme all’olio e ai cereali, e non vi fu quasi poeta dell’antichità che non abbia cantato le lodi al “vinum setinum” e alle sue innumerevoli virtù . Così Plinio, Strabone, Stazio, ma  soprattutto Marziale che ne fu un illustre estimatore, tanto da citarlo numerose volte nei suoi Epigrammi.

Secondo alcuni autori locali, il “vinum setinum” perse le sue antiche caratteristiche di bontà quando i vitigni furono dislocati dalla pianura  al territorio superiore di Sezze (Suso) e non si fecero più invecchiare per diversi decenni come da antica usanza (c.f.r. G. Ciammarucone – Descrittione della città di Sezza – 1641; F. Lombardini – Storia di Sezze - 1909) .

I vitigni di cecubo iniziarono a scomparire dal territorio setino molto probabilmente sul finire dell’Ottocento, quando i vigneti italiani ed europei subirono gli attacchi distruttivi della fillossera e vi fu uno sconvolgimento con l’importazione di vitigni americani (uva fragola in primis) usati come portainnesti.

Ora il vitigno verrà riprodotto e potrà essere valorizzato per ampliare la piattaforma ampelografica locale e regionale, mediante selezione clonale e previa verifica dell’assenza di virosi, nel caso di un reale interesse da parte di cantine locali o di semplici estimatori.

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                              L’OLIVO E L’OLIO NEL TEMPO

 

 

L’olivo è il primo albero selezionato dall’uomo ed è una pianta tipica del mediterraneo. La sua storia è strettamente influenzata dalle civiltà che si sono succedute sulle sue sponde. Era già presente 12 milioni di anni fa, molto tempo prima che l’uomo comparisse sulla terra. Sulle coste del mediterraneo esistono molte varietà di alberi del genere “Olea”. La loro distribuzione è determinata dalla latitudine, dagli ambienti e soprattutto dal clima.

 

7.000 anni fa, dopo la creazione dei primi villaggi di agricoltori, l’uomo seleziona le piante di olivo, impara a potarle ed innestarle e lo fa per generazioni. La propagazione dell’olivo è una importante conquista economica e culturale. Richiede sofisticate nozioni botaniche e una struttura sociale organizzata e solida perché ci vogliono molti anni prima di raccogliere i frutti.

5.000 anni fa,  quando gli abitanti delle più antiche città del mondo inventano la scrittura, l’olio di oliva diventa un prezioso prodotto ed i mercanti attraversano il deserto ed il mare per portarlo nelle città della Mesopotamia e dell’Egitto.  I testi scritti ci dicono quanto e quale tipo di olio è prodotto e distribuito nei templi e nei palazzi.

2.000 anni fa, grazie all’opera dei Micenei, dei Fenici, dei Greci e dei Romani, l’olivo è una delle principali colture agricole del Mediterraneo. L’olio è indispensabile in molti aspetti della vita quotidiana. Milioni di anfore vengono trasportate nel Mediterraneo alle più remote province dell’ Impero Romano.

1400 anni fa, nel periodo in cui San Benedetto fonda l’Abbazia di Montecassino, l’olio viene travolto dalla crisi politica, economica e militare dell’Impero Romano d’Occidente. Alberi di olivo sono coltivati solo attorno ai monasteri o ai centri urbani più importanti. L’olio di oliva è di nuovo caro e prezioso ed è riservato ai riti religiosi o di pochi privilegiati.

Ai tempi nostri, l’olivo è tornato ad essere uno degli alimenti più importanti del paesaggio e delle colture del Mediterraneo. Dal Medio Evo, attraverso i secoli sono nate e si sono consolidate le tradizioni delle grandi zone oleicole di oggi: Italia, Grecia, Spagna. L’olivo e l’olio sono una presenza indispensabile al nostro benessere quotidiano.

Secondo un recente studio di Coldiretti, negli ultimi 25 anni i consumi mondiali di olio di oliva hanno fatto registrare un balzo del 73% , cambiando la dieta dei cittadini in molti Paesi, dal Giappone al Brasile, dalla Russia agli Stati Uniti, dalla Gran Bretagna alla Germania.

A sostenere la domanda mondiale sono stati gli effetti positivi dell’olio di oliva sulla salute, provati da numerosi studi scientifici e dai riconoscimenti acquisiti dalla dieta mediterranea, il cui ruolo importante per la salute è stato certificato anche con l’iscrizione nella lista del patrimonio culturale immateriale dell’umanità dell’Unesco.

Nel mondo sono stati consumati complessivamente 2,99 miliardi di chili di olio di oliva nel corso dell’anno, con la vetta della classifica conquistata dall’Italia con 581 milioni di chili, seguita dalla Spagna con 490 milioni di chili, ma sul podio salgono a sorpresa anche gli Stati Uniti con un consumo di ben 308 milioni di chili e un aumento record del 250% nell’arco di 25 anni. 

(Dal Museo dell’Oleificio Carli  di Imperia,  Storico.org,  Il Punto Coldiretti)

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 Broccolo, un sapore genuino dell’alimentazione contadina

 

 Alleato prezioso della salute, è anche versatile in cucina dove diventa protagonista nei mesi più freddi dell'anno

 L’autunno è appena iniziato e con il cambio di stagione anche la nostra tavola si arricchisce nuovi colori e sapori.  Tra i protagonisti di ottobre ci sono i broccoli, alimento antico – tipico dell’alimentazione contadina – e alleato prezioso per la salute, dalle comprovate proprietà benefiche.

Originari dell’area mediterranea e diffusi fin dai tempi dei Romani, appartengono alla grande famiglia della Brassica Oleracea, ovvero le piante conosciute comunemente come cavoli. Le varietà esistenti sono moltissime, così come le preparazioni tipiche regionali ad esse associate, dalle zuppe ai risotti.

Proprietà e benefici

Povero di calorie e ricchissimo di antiossidanti, il broccolo è l’ortaggio anti-raffreddore per eccellenza, visto l’elevato contenuto di vitamina C (superiore perfino a quello delle arance) associato alla presenza di composti sulfurei, che secondo studi recenti, avrebbero un’azione preventiva nella comparsa di alcuni tipi di tumore.

Le fibre, che costituiscono circa il 3% del suo peso, sono responsabili dell’effetto benefico di questo vegetale sull’intestino e inibiscono il senso di fame, mentre le buone quantità di minerali – in particolare ferro, calcio e potassio – contribuiscono al rafforzamento delle difese immunitarie.

Curiosità

I Romani usavano mangiare il broccolo crudo prima dei banchetti affinché l’organismo potesse assorbire meglio l’alcol.

 

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 RIAPRE IL MERCATO DI CAMPAGNA AMICA SEMPRE PIU’ INCLUSIVO E DISTINTIVO

 Giovedì 8 settembre riaprirà a Sezze il mercato di Campagna Amica con i colori e i ricchi profumi che sono il preludio all'arrivo dell'autunno.  Nel nostro paese, come altrove, le abitudini di consumo si spostano sempre più verso i prodotti locali a km zero. Un trend che continuerà a crescere per un tempo indefinito e che dimostra un cambiamento culturale ormai radicato nel rapporto dei consumatori con il cibo.

Il trend favorevole della nuova domanda di cibo locale sta aprendo  nuovi spazi di mercato sempre più evidenti. E con sempre maggiore frequenza si vedono moltiplicare i soggetti che tentano più o meno legittimamente di intercettare questa nuova domanda di consumo con proposte spesse volte solo fintamente “made in Italy”.

Noi, con la nostra rete dei mercati di Campagna Amica siamo forse una delle poche eccezioni. Abbiamo acquistato un posizionamento sicuramente credibile ed importante ma purtroppo non ancora all’altezza delle potenzialità che il mercato ci prospetta, né tanto meno esaustivo delle potenzialità che il tessuto delle nostre aziende può offrire. Ed allora lo sforzo, l’impegno e tutta la determinazione di cui siamo capaci deve andare, ancora con maggior forza,  verso due direzioni.

La prima è quella di aumentare il numero di imprese che partecipano ai nostri mercati, la seconda è quella che ci ha indicato Expò, dove abbiamo verificato che se ai nostri prodotti agricoli abbiniamo la somministrazione di cibo e ci leghiamo eventi culturali, la nostra offerta diventa enormemente più emozionale, e quindi anche più attrattiva.  Ergo, diventa fortemente distintiva !

E noi sappiamo bene che è la distintività la nostra vera forza, quella che ci permette di esprimere tutta la diversità rispetto ai nostri potenziali concorrenti della distribuzione organizzata e del commercio di vicinato. La nostra distintività è un valore aggiunto, per questo il mercao deve essere sempre più attrattivo, coinvolgente ed inclusivo, con più banchi, con più tipologie produttive e più attività connesse. Come ? Declinando ad esempio il binomio cibo – cultura con iniziative ed appuntamenti che danno vita a piccoli eventi, magari avvalendosi anche di tuti quei partners  che avendo interesse a legarsi al nostro “brand”  ci amplificano e ci supportano nella loro realizzazione. Pensiamo a possibili  ristoratori di  “Campagna Amica nel piatto”, agli agriturismi  di Terranostra che fanno ristorazione, alle mense scolastiche, alle aziende che producono mezzi tecnici o strumentazioni per l’alimentazione, alla Scuola  alberghiera piuttosto che alle associazioni “no profit” o ai consorzi di tutela…..

 Insomma, pensiamo a tutti quei soggetti che ci conoscono e ci apprezzano e che oggi possono ricavare maggiore visibilità nel creare sinergie con una rete virtuosa come la nostra.

 

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 CROLLANO I PREZZI E SCOPPIA LA GUERRA DEL GRANO

 

 

 Inaccettabile e vergognoso: i prezzi all’agricoltore sono come trent’anni fa, i costi di produzione sono ai prezzi attuali ma il pane è aumentato di 1450 volte rispetto al 1986.

La denuncia è di Coldiretti e fa scoppiare la “guerra del grano” con il blitz  di migliaia di agricoltori nella Capitale davanti al Ministero delle Politiche Agricole per combattere una situazione insostenibile dovuta all’aumento delle importazioni, soprattutto da Paesi extracomunitari, mentre i raccolti nazionali vengono lasciati nei magazzini per effetto di manovre speculative che provocano la desertificazione di milioni di ettari di terreno, e mettono a rischio il futuro di 300.000 aziende agricole e due milioni di ettari di terreno della filiera dei prodotti piu’ rappresentativi del Made in Italy nel mondo, che sono la pasta e il pane.

 

Le quotazioni dei prodotti agricoli dipendono sempre meno dall’andamento reale della domanda e dell’offerta e sempre più dai movimenti finanziari e dalle strategie speculative che trovano nel Chicago Board of Trade il punto di riferimento del commercio mondiale delle materie prime agricole.

Colpevole è un mercato globale controllato da cinque multinazionali che utilizzano lo strumento dello stoccaggio a fini speculativi. Si tratta di operazioni concentrate nel periodo di raccolta del prodotto nazionale e finalizzate ad abbatterne il prezzo attraverso un’eccesso di offerta di grano “giramondo” che  abbatte i prezzi sui mercati locali con  il grano “cattivo” che scaccia quello “buono”.

Colpevole in Italia è chi ha preferito fare acquisti speculativi di grani sui mercati esteri per produrre pasta e pane che vengono spacciati per Made in Italy. Inoltre, nel caso del grano duro importato dal Canada è noto che la raccolta avviene in settembre e che quindi arriva in Italia già vecchio di almeno un anno.

Colpevole è una normativa europea e nazionale che non impone l’obbligo di indicare l’origine del grano in etichetta.

 
Gli industriali dicono che il nostro grano non è buono perché  è povero di proteine ma dovrebbero spiegarci  come mai scrivono in etichetta “prodotto con grano d’Italia” e non  invece  “prodotto con tutti i grani tranne quelli italiani" almeno mostrerebbero più coerenza e rispetto per i consumatori.

 

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MERCATO DI CAMPAGNA AMICA: UN SUCCESSO ANNUNCIATO

 

Il Mercato di Campagna Amica ha riscosso già al suo primo giorno di insediamento un successo che è andato oltre ogni aspettativa, sia per il gradimento dei cittadini  che  per la soddisfazione dei produttori.  Questo significa che il messaggio di Coldiretti è stato recepito nella sua interezza e dimostra quanto sia forte l’attaccamento e l’amore dei sezzesi verso la loro terra ed i suoi prodotti, sani e genuini.

 

 Tutto ci fa ritenere che anche a Sezze esiste un target di consumatori, maturo e responsabile, che vuole mangiare sano e genuino e a cui  il Mercato di Campagna Amica si rivolge per l’affermazione dei suoi valori  che sono: garanzia dell’origine del prodotto, il rispetto dell’ambiente e del territorio,  la sostenibilità, la tutela della biodiversità, la salvaguardia del lavoro nelle campagne e la salute ed il benessere dei cittadini.

 E’ proprio il caso di dire che Campagna Amica è il luogo ideale dove produttori  e consumatori  coltivano gli stessi interessi, in maniera equa e solidale.

 Già da questa prima esperienza stiamo valutando come adeguare il servizio per renderlo maggiormente rispondente alle necessità dei cittadini.  Tutto sarà più chiaro nelle prossime settimane, quando dall’andamento generale saremo in grado di trarre delle valutazioni e dare risposte più precise ai cittadini, sia per quanto riguarda l’orario di apertura e chiusura che per la gamma dei prodotti offerti  ed  eventualmente per un raddoppio della presenza settimanale.

 Coldiretti ringrazia il Sindaco e l’amministrazione comunale per aver permesso anche nella nostra città la realizzazione del  Mercato di Campagna Amica, che auspichiamo non un punto d’arrivo ma l’inizio di un nuovo percorso di collaborazione, nell’interesse supremo dell’Agricoltura, dei suoi prodotti, delle sue tradizioni e in definitiva dello sviluppo dell’intero paese.

 

 

 

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 VITIS SETINA : IN ATTESA DEL DNA

In attesa di conoscere gli studi sul DNA dei campioni di vitis setina, che  consegnammo all’Università di Udine e Piacenza tramite la Società Friulana di Archeologia, e che si spera di poter conoscere entro la fine di questo anno ( si attende la fruttificazione delle viti), la medesima Società Friulana di Archeologia, a mezzo del dott. Feliciano Della Mora, ci informa sulla prosecuzione degli scavi nella villa romana di Moruzzo (UD) in cui venne rinvenuta la targhetta metallica della vitis setina.

In particolare ci invia il poster di studio (#19804) del DNA eseguito sulle carcasse di 4 bovini di età romana, del genere Bos Taurus, rinvenuti nella villa, nel luogo del ritrovamento della targhetta metallica della vitis, che ha visto coinvolti diverse Università ed Enti di Ricerca:

1)       Istituto di Zootecnia Università del Sacro Cuore di Piacenza (dott.ri Licia Colli, Marco Milanesi, Stefano Capomaccio)

2)       Società Friulana di Archeologia di Udine (dott.ri. Elisa Eufemi e Maurizio Bona)

3)       IGA Technology Services di Udine (dott.ri Eleonora Di Centa,  Alessandro Spadotto,  Slobodanka Radovic, Federica Cattonaro, Paolo Ajmone Marsan)

4)       Facoltà di Scienze Agrarie e Veterinarie, UNESP- Università Statale Paulista di Aracatuba (Brazil)- dott. Marco Milanesi

5)       Dipartimento di Medicina Veterinaria di Perugia (dott. Stefano Capomaccio)

6)       Istituto di Microbiologia- Università del Sacro Cuore di Piacenza (dott.ssa Vania Patrone)

7)       Dipartimento di Scienze Agrarie ed Ambientali, Facoltà di Agraria di Udine (dott.ri Raffaele Testolin e Michele Morgante)

8)       Istituto di Genomica Applicata di Udine (dott.ri  Raffaele Testolin, Federica Cattonaro, Michele Morgante)

Il poster di studio, del quale si allega l’originale (nella consueta lingua inglese), ha il seguente titolo:

Characterization of Ancient DNA from Late Roman Age Cattle of North-Eastern Italy By Next-Generation Sequencing: Preliminary Results                                                                                       

(Caratterizzazione di DNA antico di età tardo romana su Bovini del Nord-Est Italia,  con generazione di sequenza: risultati preliminari)

                                                                               Introduzione

Durante gli scavi in una villa rustica romana del tardo impero, presso il sito archeologico Muris di Moruzzo (Udine), sono stati trovati i resti scheletrici di 4 Bos taurus, la cui morte è riferibile a peste bovina, forse Antrace ( Bacillus anthracis) o peste bovina (morbillivirus). Secondo le ceramiche, anfore e chiodi di ferro rinvenuti, il sito risale all’età augustea dell’impero romano (I secolo a.C.) ed è stato abitato sino al II secolo d.C.                                                                                                                                                                                                          

La villa rustica era una residenza situata in aperta campagna e rappresentava il nucleo di una grande azienda agricola (latifondo). Essendo il centro gestionale dell’azienda, la villa rustica era costituita da diversi edifici (figura 3). I bovini di Muris erano sepolti vicino alle fondamenta delle mura di uno dei piccoli annessi che circondano l’edificio principale (figura 4). Dal momento che gli scheletri erano completi e senza segni di macellazione, è stata ipotizzata come possibile causa di morte una malattia epidemica. Fonti storiche descrivono la peste bovina proprio in quel periodo e probabilmente dovuta al bacillo del genere Antrace o Morbillivirus.

                   Scopo della ricerca:

I)-verificare la presenza di DNA endogeno antico;

II)-caratterizzare i genomi del bestiame romano;

III) verificare l’ipotesi di malattia epidemica

                                                                       Materiali e metodi

Il DNA (ADNA) è stato estratto da denti e tartaro in una struttura di laboratorio dedicata, seguendo rigorosi protocolli per campioni antichi. Segue la descrizione dei procedimenti tecnici utilizzati (NuGen, Illumina MiSeq, ecc),  di cui mi risparmio la traduzione, invitando eventuali  interessati a visionare l’allegato poster.

                                                                                 Risultati

In sintesi, omettendo la traduzione dei procedimenti tecnici utilizzati per la mappatura del Dna antico, si ha che l'analisi con software MEGAN ha confermato che effettivamente si tratta del DNA di Bos taurus, ma ha messo pure in evidenza la (comprensibile) presenza di DNA moderno di origine ambientale (soprattutto microrganismi del suolo, invertebrati, piante e funghi. ( Figura 6).

                                          I prossimi passi del progetto si concentreranno a:

1-      creare una biblioteca di DNA (Sequencing ADNA) su una piattaforma Illumina HiSeq per aumentare la copertura e la profondità e per confermare e analizzare le varianti in dettaglio.

2-      comparare le sequenze di DNA  dei bovini romani (sia nucleare che mitocondriale) con genomi bovini moderni;

3-      Investigare sull'eventuale presenza di agenti patogeni comuni tra bovini antichi e moderni, tramite la caratterizzazione di sequenze batteriche a livello di specie.

 

 

 

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                                             ALLARME CONSUMO SUOLO AGRICOLO

 

 In Europa si perdono, ogni ora, undici ettari di terreno e l'Italia contribuisce per circa 1/5 a questo consumo, con la perdita irreversibile di 6-7 metri quadrati ogni secondo, il doppio rispetto alla media Ue. L’allarme viene dai dati Ispra diffusi in occasione della Giornata mondiale del suolo, l'iniziativa delle Nazioni unite per celebrare questa indispensabile risorsa naturale, reso ancora più importante dalla concomitante celebrazione dell'Anno internazionale dei suoli.
Secondo l’analisi, il 33% dei suoli a livello mondiale è degradato e ci vogliono fino a 1.000 anni perché 2-3 centimetri di suolo possano riformarsi. Il territorio in tutto il mondo è dunque in pericolo, ma il suo deterioramento non è irreversibile.
I suoli sani sono essenziali per la produzione alimentare: il 95% del nostro cibo dipende dalla disponibilità di suolo fertile.

Agricoltura e urbanizzazione competono per l'uso degli stessi suoli: tendenzialmente i terreni a più elevata potenzialità produttiva. Ad esempio, in un solo anno, oltre 100.000 persone hanno perso la possibilità di alimentarsi con prodotti di qualità italiani. Alle radici  del fenomeno c’è soprattutto l'urbanizzazione, insieme all'abbandono della terra.
L'urbanizzazione comporta un declino degli habitat naturali e seminaturali che, inoltre, risultano sempre più frammentati da zone costruite e infrastrutture di trasporto. Il 30% del territorio dell'Ue e altamente frammentato e questo influenza il collegamento e la salute degli ecosistemi, ma anche la capacita degli ecosistemi di fornire servizi e habitat adatti alle specie. La Fao stima che, con questo tasso di distruzione del suolo, ci rimangano solo 60 anni residui per disporre di sufficiente suolo fertile di buona qualità.
Per proteggere il territorio ed i cittadini che vi vivono, l’Italia deve dunque difendere il proprio patrimonio agricolo e la propria disponibilità di terra fertile con un adeguato riconoscimento dell’attività agricola che ha visto la chiusura in media di 60 aziende al giorno dall’inizio della crisi nel 2007, secondo un'analisi di Coldiretti. La chiusura anche di una sola azienda agricola significa maggiori rischi sulla qualità degli alimenti che si portano a tavola e minor presidio del territorio, lasciato all’incuria e alla cementificazione.

 

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                                           COLDIRETTI RASSICURA  SULLE CARNI ITALIANE

 

“Lo studio dell’Oms sul consumo della carne rossa sta creando una campagna allarmistica immotivata per quanto riguarda il nostro Paese – afferma Coldiretti  in un comunicato - soprattutto se si considera che la qualità della carne italiana, dalla stalla allo scaffale, è diversa e migliore e che i cibi sotto accusa come hot dog e bacon non fanno parte della nostra tradizione”. Nel nostro Paese i modelli di consumo della carne si collocano perfettamente all’interno della Dieta Mediterranea, che si fonda su una alimentazione a base di prodotti locali, stagionali, freschi, e che costituisce il segreto della longevità degli italiani, con 84,6 anni per le donne e i 79,8 anni per gli uomini. 
 
Le carni Made in Italy sono più sane, perché magre e non trattate con ormoni, a differenza di quelle americane. Sono ottenute nel rispetto di rigidi disciplinari di produzione “Doc” che assicurano il benessere e la qualità dell’alimentazione degli animali. E per gli stessi salumi si segue una prassi di lavorazione di tipo ‘naturale’ a base di sale. Non a caso il nostro Paese vanta il primato a livello europeo per numero di prodotti a base di carni “Doc”,con ben 40 specialità di salumi che hanno ottenuto la denominazione d’origine o l’indicazione geografica.
 
Secondo Coldiretti,  a dover rassicurare i consumatori italiani è una frase riportata sullo stesso studio dell’Oms dove si afferma chiaramente che “E' necessario capire quali sono i reali margini di rischio ed entro che dosi e limiti vale la pena di preoccuparsi davvero”.

Altrettanto importante è capire esattamente di quali tipi di carne e di quali sistemi di lavorazione si sta realmente parlando quando si punta il dito contro la carne. Basti pensare agli Usa, dove il consumo di prodotti a base di carne è superiore del 60 rispetto all’Italia e dove l’utilizzo di ormoni e di altre sostanze atte a favorire la crescita degli animali è considerato del tutto lecito.
L’ennesimo falso allarme che non riguarda le nostre produzioni conferma la necessità di accelerare nel percorso dell’obbligo di etichettatura d’origine per tutti gli alimenti. E' questa la vera battaglia che l'Italia deve fare in Europa per garantire la salute dei suoi cittadini e il reddito delle sue imprese.

       

 

 

 

 

 

                                                           L' EDUCAZIONE ALIMENTARE NELLA SCUOLA

 

 Il progetto “Educazione alla Campagna Amica” di Coldiretti raccoglie sempre più adesioni. Sta coinvolgendo oltre centodiecimila alunni degli istituti scolastici di ogni ordine e grado in tutta Italia, che partecipano a lezioni in programma nelle fattorie didattiche e nei laboratori del gusto, organizzati nelle aziende agricole ed in classe. L’obiettivo è quello di formare dei consumatori consapevoli sui principi della sana alimentazione e della stagionalità dei prodotti, per valorizzare i fondamenti della dieta mediterranea e ricostruire il legame che unisce i prodotti dell’agricoltura con i cibi consumati ogni giorno, di investire nel futuro, nelle nuove generazioni, per poter formare gli adulti di domani e sensibilizzarli, al fine di creare una classe di consumatori consapevoli ed attenti.

 

E’ uno straordinario modo per portare l’agricoltura e il mondo rurale nelle vite dei bambini, ma anche per far conoscere ai ragazzi più grandi che si stanno per affacciare al mondo adulto, le occasioni di lavoro e di crescita che da questo settore possono derivare.  L’impegno inizia dai banchi. Fermare la vendita del cibo spazzatura nelle scuole a favore di alimenti locali freschi e sani come spremute, frutta e verdura di stagione, anche da sgranocchiare e in grado di assicurare senso di sazietà e garantire un adeguato apporto idrico, può contribuire a sconfiggere i problemi di eccesso di peso e di obesità.

Attraverso questo percorso, Coldiretti vuole inviare un segnale straordinario a tutta la comunità: partire dai più piccoli dando loro l’importanza che meritano, lasciando un seme che dovranno coltivare con impegno e passione, come fanno gli agricoltori tutti i giorni attraverso il loro lavoro: curare qualcosa di piccolo affinchè cresca sano e buono.

 EDUCAZIONE ALLA CAMPAGNA AMICA  -PROGETTO NAZIONALE  DI  EDUCAZIONE ALIMENTARE PER LE SCUOLE

               

 

I bambini e i ragazzi sono i più esposti al rischio di dimenticare o non sapere che cosa sia la campagna. La terra, i prodotti agricoli, gli animali, il paesaggio agrario rischiano oggi di diventare solo realtà virtuali distanti dalla vita di tutti i giorni.

Il progetto “Educazione alla Campagna Amica” è nato dunque per far incontrare il mondo della scuola e l’agricoltura, sensibilizzando i giovani ai valori della sana alimentazione, della tutela ambientale e dello sviluppo sostenibile, del territorio come luogo di identità e di appartenenza.
Le molteplici attività che si realizzano durante lo svolgimento delle iniziative provinciali aiutano i ragazzi a sentirsi protagonisti di una relazione forte con l’agricoltura ed a scoprire che veramente la campagna è loro amica.

 Gli obiettivi:

INFORMARE SULL’AGRICOLTURA DI OGGI
Tecnologie, professionalità, mercato, imprese, multifunzionalità, prodotti agricoli del territorio.

ASCOLTARE UNA CONOSCENZA ANTICA
La ciclicità della natura, il lavoro manuale, il rapporto con la natura.

RISCOPRIRE LE RADICI DELLA CULTURA RURALE
Visitare i musei della civiltà contadina e dell’attività agricola di ieri, apprezzare l’arte minore e le culture locali.

SPIEGARE I PROCESSI PRODUTTIVI
Allevare gli animali, coltivare i campi, trasformare i prodotti, il tempo dell’attesa, la semina e il raccolto.

CONOSCERE GLI ALIMENTI E I PRINCIPI DI UNA SANA ALIMENTAZIONE
Le caratteristiche dei cibi, mangiare i prodotti del nostro territorio, saper leggere le etichette.

RECUPERARE I SUONI E I GUSTI DELLA CAMPAGNA
Il rumore del vento, della pioggia sui campi, i suoni degli animali, il silenzio, gli odori, i sapori.

INCONTRARE I PROTAGONISTI
Le storie delle donne e degli uomini che hanno scelto la vita in campagna.

CONOSCERE IL TERRITORIO
La storia, la cultura, l’ambiente dei nostri territori, il ruolo dell’agricoltura, i prodotti locali, i cibi e la gastronomia.

EDUCARE ALLA SOSTENIBILITÀ
Conoscere le problematiche dello sviluppo sostenibile (energia e fonti rinnovabili), educare i comportamenti individuali nella vita quotidiana.

Le attività: Coldiretti propone alle scuole una vasta tipologia di attività sui temi di Educazione alla Campagna Amica.

CONTATTI:  COLDIRETTI  Lazio

Via Raffaele Piria, 6 - 00156 Roma (RM)
Tel. 06 4073090 -  Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo.

 

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                                                     LE TIPICITA’ STAGIONALI  DI SEZZE AD EXPO 2015

 

 

 

 Una giornata esaltante, divertente,  ricca di arte e di cultura del cibo, quella che la Coldiretti  di Latina ha proposto all’Expo di Milano nel Cardo Sud opposto all’Albero della Vita.
I produttori pontini si sono incontrati per tutto il giorno con i numerosi visitatori, che a centinaia hanno condiviso ed apprezzato i momenti  intensi di una lunga carrellata di sapori, profumi ed emozioni che solo la provincia di Latina, in virtù della sua estensione geografica, tra colline, pianura e mare, poteva offrire. Un patrimonio agroalimentare che ha permesso di esaltare sia le prelibatezze dei pesci della costa del nostro mare che le produzioni della pianura pontina, offerte gratuitamente ai visitatori.
Durante la mattinata, al centro dell’attenzione  la mozzarella di bufala, sostenuta da un consorzio costituito ad hoc da Coldiretti Lazio, la Prolab, che associa più di 60 produttori e vanta un fatturato di circa 35 milioni di euro e centinaia di occupati.
Nel pomeriggio degustazioni di pesci sott’olio e fritti al cartoccio, con illustrazione delle caratteristiche del pesce azzurro e delle proprietà organolettiche, un patrimonio di biodiversità  presente in prossimità della costa di Terracina e del promontorio del Circeo. Gli sbandieratori del Ducato Caetani di Sermoneta hanno dato un notevole contribuito all’animazione della giornata.

 


In serata  grande successo delle tradizioni gastronomiche di Sezze, con lo show cooking  del mitico Martufello e la presentazione della “ Minestra Appragacornuti “ e “Le Lacne e fasògli”, con i fagioli “cannellino”  e “borlotti” raccolti a Sezze in località “Canalelle”.
I canti e i balli del gruppo folk Maentino hanno accompagnato a più riprese lo show di Martufello, fino al  momento esaltante in cui si sono uniti a loro, in una sorta di gemellaggio canoro, i “Briganti della Majella” che si erano fermati a degustare le nostre tipicità.
E’ stata indubbiamente un’atmosfera di grandi emozioni, dove il fascino del passato si è coniugato  armoniosamente con il presente, una  “full immersion “nella campagna e nelle tradizioni  contadine di Sezze, che hanno coinvolto tutti i sensi e fatto dimenticare per qualche ora l’eccezionale ondata di calore che ha colpito tutta la Penisola, con il record di temperatura di oltre 40 gradi  proprio all’Expo di Milano.
E’ per combattere ed alleviare le sofferenze del caldo che i produttori pontini hanno organizzato ad Expo, la distribuzione gratuita  di migliaia di  confezioni  di frutta fresca, contenenti  uva, pesche, prugne ed albicocche, provenienti in gran parte da Terracina. Tutti hanno compreso che gli effetti dannosi del caldo si combattono con la frutta e la verdura del periodo e hanno ringraziato per il gesto di  umana solidarietà con cui Coldiretti ha ancora una volta  riaffermato il suo primato di grande forza amica del Paese.

 

           

 

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 LA COLDIRETTI PRESENTA SEZZE ALL'EXPO DI MILANO

 

 L'Albero della Vita, alto 37 metri, simbolo del Padiglione Italia, sponsorizzato da Coldiretti. E' ispirato ad un disegno di Leonardo per il Campidoglio

L'Albero della Vita che caratterizza il padiglione Italia dell'Expo 2015, ispirato a un disegno di Michelangelo, resterà l'opera simbolo di una nuova era del cibo, della produzione e dell'ambiente per l'intero pianeta. Con essa si vuole raccontare e rappresentare la bellezza e la varietà dell'agricoltura italiana, il vero cibo e l'agroalimentare del nostro paese.

E’ un' Italia, quella che Coldiretti schiera ad Expo, fatta da oltre un milione e mezzo di agricoltori autentici, di persone straordinarie che ogni giorno producono il meglio del made in Italy e che sono le radici, il tronco dell' Albero della Vita, quelli che in questi anni di crisi sono riusciti tra mille difficoltà a sostenere l'economia del Paese e lo strategico fronte delle esportazioni. Basti pensare ai risultati del vino, o dei grandi formaggi o dei nostri migliori extravergini di oliva, per i quali Sezze si è aggiudicato il primo  premio nel concorso dell’Olio delle Colline dei Lepini.

Ogni settimana Coldiretti presenterà una regione da conoscere e da raccontare, a Luglio sarà la volta del Lazio e il 7 luglio, con la provincia di Latina, Coldiretti accenderà ii riflettori su Sezze e le sue tradizioni gastronomiche. E quando si parla di Sezze non poteva mancare per colorire la giornata e regalarci un pizzico di allegria, un personaggio diventato il simbolo del nostro paese: Martufello.

L'Expo giunge in un momento in cui il prodotto di eccellenza di Sezze, il carciofo, è terminato da un pezzo ed è veramente un peccato  non poterlo presentare al pubblico internazionale cucinato nelle diverse maniere, ma abbiamo ugualmente consegnato agli chef  dell’Expo, due ricette della ricca tradizione sezzese che i prodotti di stagione di luglio ci consentono: “Lacne e Fasògli” e la “Minestra Appraga Cornuti”.  Si era pensato, in luogo di quest’ultima, alla più nota bazzoffia sezzese, ma la stagionalità è di  rigore, e gli ingredienti della bazzoffia, in particolar modo gli ultimi carciofi dei primi di maggio, quelli non sufficientemente piccoli per essere raccolti come carciofini, sono fuori stagione da tempo.

 La partecipazione di Sezze all'Expo sarà una full immersion nella campagna, che coinvolgerà tutti i sensi: vista, olfatto, udito, tatto e gusto. L’obiettivo è quello di raccontare il legame tra la società italiana e i suoi agricoltori, soffermandosi sul molteplice ruolo che essi svolgono: produttori di beni, custodi della bellezza della campagna italiana e dei suoi paesaggi, delle tradizioni,  innovatori, propulsori delle comunità locali, protagonisti dell’economia e del Made in Italy che crea ricchezza e lavoro per tutti.

padiglione 

                                              ll padiglione di Coldiretti, lungo il Cardo dell'Expo  

 

 

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IMU AGRICOLA : RESO NOTO IL DECRETO CHE CHIUDE LA TELENOVELA

    

Come ci si aspettava, il Consiglio dei Ministri si è riunito d’urgenza, e con D.L. n° 46 del 23 gennaio 2015 ha deciso di riparare alla “non decisione” del Tar Lazio sull’Imu agricola.  In sostanza,  Renzi e Company, con questo decreto hanno in buona parte fatto marcia indietro, rispetto ai criteri altimetrici fissati con il decreto di fine 2014,  ritornando alla vecchie delimitazioni delle tabelle istat.  Hanno prorogato il termine ultimo per i versamenti,  per quanti vi sono tenuti, al 10 febbraio 2015.  In pratica ritornano montani circa 2000  Comuni e parzialmente montani altri 655 Comuni, che avevano perduti i requisiti sulla base dei criteri altimetrici adottati dal contestato decreto del 28 novembre 2014,  finito sul tavolo del Tar Lazio. La novità di rilievo contenuta in questo nuovo decreto è che, all’art 1 comma 2, è stata accolta la proposta avanzata  da Coldiretti, per cui i terreni ubicati nelle aree P, parzialmente montane come Sezze, sono esentati dall’Imu qualora condotti, anche in affitto o in comodato, da coltivatori diretti o imprenditori agricoli professionali (IAP) normalmente iscritti nella gestione previdenziale Inps. Il nuovo decreto fissa altresì i criteri per far fronte al minor gettito d’imposte derivanti ai Comuni dalle nuove norme. Sembra così concludersi, a meno di nuovi colpi di scena, la penosa vicenda dell’Imu sui terreni agricoli, che tanto aveva inasprito gli animi e suscitato proteste corali che, come sappiamo, erano  finite sul tavolo del Tar.

 

 

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                                                IMU AGRICOLA : CAOS SENZA FINE                  

 

 Il Tar del Lazio, entrando nel merito del ricorso presentato dall'Anci contro il decreto governativo che ha istituito l'IMU sui terreni agricoli, lo ha respinto, nonostante l'accoglimento in sede di sospensiva. Contrariamente alle aspettative, il Tar non ha concesso ulteriori sospensive ed ha fatto sapere che deciderà direttamente nel merito dei singoli ricorsi, presentati dai Comuni e dalle Anci regionali.
Ora, per l’Imu  sui terreni agricoli il caos regna sovrano, e a cinque giorni dalla scadenza, stabilita per il 26 gennaio, i contribuenti non sanno ancora se quello che dovranno pagare sia giusto o meno.
La situazione  risulta  parecchio confusa e continua a creare non poche polemiche e malcontenti  e un chiarimento governativo sarebbe, a questo punto, d’obbligo. Ma il Consiglio dei ministri, riunitosi il 20 gennaio, che avrebbe dovuto anticipare le mosse del Tar, ha preferito non esprimersi, aggiungendo alla confusione nuova confusione.
Se esistevano dei dubbi che l’Agricoltura non rientrasse tra gli interessi primari di questo Governo, indaffarato più in poltrone, vitalizi e leggi elettorali, oggi non esistono  più.  L’assoluta mancanza di sensibilità da parte delle istituzioni  verso il settore agricolo è un dato certo:  non si può chiedere ad una categoria  già debole, della quale, peraltro, fanno molti pensionati ex coltivatori diretti con pensione al minimo, di finanziare  il bonus di 80 euro per una categoria altrettanto debole.  
Vorremmo più consapevolezza da parte dal Governo che senza Agricoltura non si esce dalla crisi, ma questa attività sembra lontana anni luce dalle loro “stategie”, siamo abbandonati  a noi  stessi, e sempre meno ci sentiamo  di appartenere a questo sistema e a questa Europa, che premia  delinquenti e mafie,  che  si ricorda di noi quando serviamo per essere usati come bancomat, come merce di scambio,  per  salvaguardare il territorio e la sicurezza alimentare. Non ci siamo mai sottratti alle nostre responsabilità e non intendiamo sottrarci neanche ora, ma il nostro bancomat è scarico e, anche volendo, non siamo nelle condizioni di metterci in coda per pagare l’Imu.
 
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 LA MANO DELLE MAFIE SULL'AGRICOLTURA, III RAPPORTO COLDIRETTI - EURISPES                            

Un business criminale che non conosce crisi, che danneggia produttori e consumatori e che fattura più di 15 miliardi all’anno. Questa la fotografia delle cosiddette agromafie, elaborato nel terzo rapporto da Coldiretti, Eurispes, e Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare. Produzione, distribuzione e vendita sono sempre più penetrate e condizionate dal potere criminale, esercitato ormai in forme raffinate attraverso la finanza, gli incroci e gli intrecci societari, la conquista di marchi prestigiosi, il condizionamento del mercato, l’imposizione degli stessi modelli di consumo e l’orientamento delle attività di ricerca scientifica.

Nel 2014 il giro d’affari della criminalità organizzata nel settore ha toccato i 15 miliardi e mezzo ed è cresciuto del 10% in un anno. Sono 5.000,  solo in Italia, i ristoranti rilevati o avviati dalle associazioni mafiose nei luoghi più prestigiosi delle città; in gran parte catene in franchising, che in pochissimo tempo aprono filiali anche all’estero, grazie alla enorme liquidità che deriva dalle attività criminali. E’ il tipo di affari preferito dalla camorra, mentre cosa nostra predilige aziende agricole, grande distribuzione e mercati all’ingrosso; la ndrangheta si concentra più sulla pubblica amministrazione, attraverso la quale si infiltra nel settore. Così le mafie si spartiscono il mercato, ripuliscono i soldi sporchi e aumentano i proventi.

Affari che passano però anche dalla contraffazione, il web è il porto franco dei falsi prodotti italiani. Per pochi euro si possono comprare polverine per ottenere falsi vini barolo o chianti, acquistare i kit per preparare parmigiano e formaggi dop, tanto per citare alcuni dei prodotti contraffatti più venduti in rete. Ma il sorvegliato speciale, secondo lo studio Coldiretti – Eurispes, è l’Expo 2015 di Milano, dove si rischia l’invasione di migliaia di tonnellate di prodotti alimentari contraffatti o alterati, messi in commercio come eccellenze italiane per un valore che potrebbe superare i 60 miliardi di euro.                                                                      

Tutte le attività illegali trovano il terreno fertile laddove manca la legalità. Occorre perciò andare avanti con tutte le misure necessarie a rendere più trasparente l’intera fiiera del cibo, a partire dall’origine in etichetta dei prodotti agricoli utilizzati in ogni confezione che acquistiamo. 

 

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         IL TEMPIO DI GIUNONE REGINA E IL TRATTURO CANIO'

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 1- Importanza del rinvenimento dei resti del Tempio di Giunone

Il rinvenimento nel  1980 del tempio arcaico di Giunone nel tratturo Caniò, come  ebbe a sottolineare  il prof. Luigi Zaccheo in un suo pregevole articolo del 1985 (Il Comune Oggi – Nov 1985 –anno VII), rappresenta un fatto culturalmente molto importante, perché è il segno della penetrazione più meridionale di Roma durante la conquista del territorio dei Volsci.Con tale articolo il  prof. Zaccheo, oltre ad informare su importanti reperti che erano tornati in luce, notava che se si fosse riusciti a scavare tutta l’area sacra del tempio e a ricomporre in loco le antiche strutture, Sezze avrebbe avuto il pregio di mostrare nel proprio territorio uno dei complessi più antichi del Lazio meridionale. Infatti, se consideriamo che l’area archeologica del tempio dista appena un chilometro dalla via Appia e dal Foro Appio, ed è prossima agli Archi di S. Lidano e alla Torre Petrara  (tomba romana), ci sarebbero  tutte le condizioni per creare un vasto parco archeologico di notevole interesse artistico, un punto obbligato di attrazione per la massa di turisti transitanti nella regione pontina.  “ Il mio augurio – concludeva Zaccheo -  è che lo sforzo ed il lavoro di tante persone ( negli scavi dal 1984 al 1985) abbia l’aiuto e l’incoraggiamento del Comune di Sezze, dell’ Amministrazione provinciale, della Soprintendenza Archeologica, della Camera di Commercio, dell’ EPT di Latina e delle istituzioni culturali, per fare in modo che un così ricco patrimonio archeologico non resti semidistrutto ed in abbandono per anni.”  Sono passati trent’anni da allora, e i timori  del prof. Luigi Zaccheo si sono rivelati una profezia, il tempio di Giunone è rimasto “semidistrutto e in abbandono” all’incuria del tempo e degli uomini, e forse lo sarà per sempre.In questo nostro paese, che ha il pregio di possedere una storia  e una cultura ultra millenaria, non si riesce a far comprendere come le bellezze architettoniche e paesaggistiche, unitamente alla cultura, alle tradizioni e al buon cibo, possano creare una nuova e importante economia, alla stregua di altre realtà italiane che hanno intrapreso con successo questo percorso. L’area archeologica del tempio di Giunone, è rimasta nello stato in cui fu lasciata negli scavi degli anni 80, quando esauriti i fondi che vi furono destinati, fu recintata ed in parte coperta con una pensilina rinviando tutto a tempi migliori. Gli oggetti ritrovati furono condotti nel museo archeologico di Sezze a disposizione della collettività.La pensilina  e la recinzione, ora arrugginita e tagliata in più punti, non  hanno impedito ai malintenzionati di trafugare  nel tempo altri tesori che molto probabilmente si celavano  ancora nel sottosuolo, rubandoci  con essi anche la possibilità di poter aggiungere  importanti  tasselli alla ricostruzione storica e culturale del territorio.

2-Cenni storici sul tratturo Caniò

Unica via di accesso al Tempio di Giunone, il tratturo Caniò era anticamente percorso dalla transumanza del bestiame che  scendeva dai Lepini attraverso le falde del M. Antignana, e raggiungeva la palude nei pressi del Foro Appio. Di questo tratturo non esiste più né il tracciato montano né  quello pedemontano, anche se di quest’ultimo si può ritenere che in epoca remota passasse per le sorgenti di “acqua zolfa” in località La Catena, dove gli animali venivano fatti immergere. Ciò in virtù della funzione sanante dello zolfo per la cura di ferite sugli animali, specificamente sui cavalli, ma anche sugli ovini, ai quali le acque solfuree conferivano un mantello di lana candido e pulito, che costituiva un pregio commerciale ed un valore aggiunto.(1) Una opportunità cui difficilmente i pastori  rinunciavano, e che con ogni probabilità ha dato il nome all’intero tratturo. "Caniò” infatti deriverebbe dal nome latino di persona  “Canius “, che significa uomo dai capelli bianchi o candidi, proprio come il candore che acquistavano le pecore detergendosi nell’acqua zolfa della sorgente della Catena. Gli umanisti ci hanno sempre  ricordato che in greco “to theion” era lo zolfo, ma era anche la cosa divina (divinum): non a caso il verbo theióo significa  “purifico con zolfo, disinfetto”, ma corrisponde anche a «consacro agli dei». Pertanto, lo zolfo era sacro, anzi, era la “cosa sacra” con cui si curavano i mali degli uomini e degli animali, si candeggiavano lana e tessuti, si purificavano le case durante le cerimonie, si preparava la vite ed il vino etc. Dall’area archeologica dei resti del tempio di Giunone, provengono numerosi materiali bronzei e ceramici, fra i quali si distinguono gli ex voto: sia gli anatomici, che rimandano chiaramente a una guarigione richiesta o ricevuta di persone malate, sia quelli riproducenti ovini, bovini e un cavallo: anche qui, si crede, la presenza di animali da pascolo potrebbe non essere casuale, ma legata proprio all’azione benefica delle acque sugli armenti e sulle pecore. E della rilevanza data a questi animali, parrebbero testimoniare pure gli strumenti da lavoro venuti alla luce durante gli scavi: una lama di coltello a mezzaluna per la lavorazione del cuoio, e vari pesi da telaio, evidentemente legati alla tessitura.Gli ex voto di animali  provenienti dagli scavi del Tratturo Caniò sono stati giustamente posti a confronto con altri similari rinvenuti di frequente nei depositi votivi centro-italici, fra i quali vale segnalare il noto deposito detto di Minerva Medica dall’Esquilino, da dove provengono varie statuette di animali da mandria: tori, buoi e pure cavalli oltre che altri animali.(2)

 

                     Il Tratturo Caniò nel versante di via degli Archi (in fondo la via degli Archi di S. Lidano)

 Dalle mappe del catasto terreni di Sezze del 1929, che si rifanno a quelle ancora più antiche del Catasto Pontificio, il tratturo inizia da via degli Archi, a circa 650 metri dal sito archelogico degli Archi di S. Lidano e dirige verso la campagna in direzione sud per meno di 500 metri, quindi curvando  verso ovest attraversa la fossella  della Carrara e va ad incrociare, dopo circa 350 metri, via Murillo. L’accesso in via Murillo è da questa parte  intercluso dall’aia di un fabbricato rurale, ma  può essere all’occorrenza ripristinato perché non vi insistono manufatti.. L’orientamento dell’asse del tratturo nel tratto in cui inizia da via degli Archi, mostra  la sua antica provenienza dalla sorgente dell’acqua zolfa della Catena, anche se tale percorso pedemontano con ogni probabilità è variato nei secoli, specie nelle contese medievali  tra Sezze e Sermoneta, quando potrebbe essersi identificato per buona parte con lo storico stradone dell’Arnarello (ancora esistente e riportato in mappa nelle  immediate vicinanze del tratturo, presso via Archi). Anzi si potrebbe plausibilmente ipotizzare che in un’ era molto antica tale stradone  immettesse direttamente    nel tratturo, raccogliendo le greggi che scendevano dalla parte ad est dell’Antignana .Il tratturo Caniò è interamente in terra battuta e così è sempre stato nei millenni, si presenta molto sconnesso e può essere percorso solo a piedi oppure da trattori o fuoristrada.  Dall’intersezione di via Murillo (circa 800 metri dagli Archi) e procedendo in direzione  sud- ovest verso i resti del tempio di Giunone, il tratturo Caniò scompare dalla planimetria catastale, ma la tradizione popolare lo indica ancora oggi inequivocabilmente  in uno stradone di terra battuta, caratterizzato anch’esso da grossi avvallamenti e percorribile come il primo tratto solo da trattori e fuoristrada, che porta al cuore  della località “Quarto Campelli”   Il tratturo termina alla fossella della Selcichia, ma sino a pochi decenni fa immetteva in via Maina e c’è ancora chi racconta di uno suo sbocco in prossimità del Foro Appio. Le  origini arcaiche del tratturo Caniò, sicuramente una delle prime strade del campo setino, sono testimoniate da una parte degli oggetti rinvenuti negli scavi dell’area archeologica del tempio di Giunone che risalgono al XVI secolo a. C. (età del Bronzo Medio).  Da questi oggetti si desume chiaramente la sua preesistenza sia a via degli Archi che alle altre strade del campo di Sezze, che il tratturo avrebbe attraversato in tempi più recenti, e persino alla stessa via Appia. 

Note 

(1) (2)- Università degli studi di Padova, Dipartim. archeologia-  Atti del convegno, Padova 21.06. 2010 - AQUAE PATAVINAE – Maddalena Bassani: Le terme,le mandrie e Gerione-  Antenor Quaderni 21 .                                                                                                                                                                                                                                

3- I reperti  archeologici del Tempio di Giunone 

Locandina 

Sono documentati  da un cartello posto accanto al tempio negli  scavi degli anni 80 . Si presenta   pressoché illeggibile per essere scolorito ed infranto in diversi punti, forse impallinato da qualche cacciatore annoiato, ma con un po’ di pazienza si riesce ancora ad interpretarne il contenuto. I frammenti  architettonici rinvenuti sono riferibili ad un edificio sacro di ordine ionico databile nella seconda metà del II secolo a. C.  ma edificato su un’area che aveva già una sua tradizione culturale e sociale.

 

Uno spesso strato di intonaco, che almeno in parte era dipinto in rosso, giallo e nero, rivestiva tutti gli elementi architettonici scolpiti sia nel tufo che nel calcare locale. Particolarmente interessante per la storia della pianura pontina sono le due iscrizioni incise nello stucco del fregio e dell’architrave. Quella del fregio commemora la costruzione dell’edificio, forse un portico, da parte di un POSTUMIO ALBINO console, mentre quella dell’architrave ricorda un restauro del pretore LUCIO VARGUNTEIO RUFO.  Sembra che proprio in occasione di questo restauro, l’iscrizione più antica sia stata cancellata, ricoprendo i solchi delle scritte di stucco bianco. Ciò avveniva nella cultura romana ogni qualvolta che  un personaggio si macchiava di una infamia tale da meritare la  " damnatio memoriae ", cioè la cancellazione del suo nome dalle strutture monumentali ( nomen abolendum). L’edificio sacro doveva trovarsi al centro di un santuario nel quale, come testimoniato da un'altra iscrizione incisa su di un ara, era venerata GIUNONE REGINA, protettrice del mondo femminile oltre che degli animali.

 

La grande venerazione di cui godeva questa e forse anche altre divinità del santuario è testimoniata dai numerosi doni votivi trovati durante gli scavi condotti tra il 1984 ed il 1986. Si tratta di ex voto realizzati sia in terracotta che in bronzo e databili tra la fine del IV secolo e la fine del II secolo a. C. teste, mani, piedi, falli, uteri, statuine di offerenti, di guerrieri, di Ercole, ma anche molti vasi in ceramica a vernice nera e in ceramica comune.    

Resti

I resti del Tempio di Giunone Regina  recentemente ripuliti da rovi ed arbusti dalla SPL , società municipalizzata, sotto la sorveglianza della Soprindentenza ai Beni architettonici.                                                                                                                                                                                           

Altri materiali archeologici recuperati hanno rilevato che la frequentazione dell’area iniziò molti secoli prima della costruzione dell’edificio di ordine ionico. Infatti, a circa due metri dall’attuale piano di calpestio sono stati rinvenuti materiali risalenti alle fasi iniziali del Bronzo Medio (XVI secolo a. C.) e ad un livello di poco superiore una grande olla della seconda fase della Civiltà Laziale (IX Secolo a. C.).  

 

 


 

 

 ASSEMBLEA NAZIONALE COLDIRETTI - Palalottomatica Roma

4 Luglio 2013

                                   Un Gruppo di Latina - Autobus 8

Il futuro e il destino dell’Italia passano attraverso l’Agricoltura. Siatene orgogliosi!  Oggi, si registra un profondo cambiamento rispetto al passato, quando la vita in campagna era considerata quasi un sinonimo di arretratezza e di ritardo culturale nei confronti di quella di città. Dentro l’Agricoltura non c’è ancora un reddito adeguato, ma c’è legittimamente quella visione di futuro e di prospettive di fiducia che non c’è negli altri settori: ecco perché aumenta l’occupazione giovanile in Agricoltura, ecco perché le multinazionali agroalimentari arrivano invece che andarsene, ecco perché aumenta il numero di chi frequenta le scuole di Agricoltura. “

Con queste parole il Presidente di Coldiretti Sergio Marini ha salutato ed incoraggiato le oltre quindicimila aziende agricole associate che hanno affollato il Palalottomatica per l’annuale convention di Coldiretti.  

Marini 

                                        Il Presidente Nazionale di Coldiretti Sergio Marini 

 Al centro dell’evento gli effetti di una crisi epocale sui consumi alimentari, sulla perdita di marchi storici del made in Italy, i rischi di frodi, di contraffazioni, degli ogm, ma anche  gli elementi di successo e del modello di sviluppo dell’Agricoltura italiana che è l’unico settore a far registrare un aumento del Pil nelle esportazioni e nell’offerta di lavoro. Sul palco del Palalottomatica sono intervenuti i ministri dello sviluppo economico Flavio Zanonato, il ministro della salute pubblica Beatrice Lorenzin, il ministro dell’ambiente Andrea Orlando, il ministro delle politiche agricole Nunzia Di Girolamo, e prima di loro, protagonisti dell’evento sono stati il Procuratore Giancarlo Caselli che ha relazionato sulle agromafie, Renzo Arbore per l’agricoltura sociale, il Presidente di Federconsumatori  Rosario Trafiletti e il Direttore generale di Iper (mercati FAI) Stefano Albertazzi, che hanno portato  le loro testimonianze sui temi al centro dell’edizione 2013 dell’Assemblea Nazionale di Coldiretti. 

 

                                                  Il Palalottomatica colorato del giallo Coldiretti

 Di particolare rilievo gli impegni presi dal Ministro delle Politiche Agricole Nunzia De Girolamo  che in conclusione ha sottoscritto tutte le proposte di Coldiretti. La contrarietà agli Ogm, per  valorizzare la nostra biodiversità,  è stata una tesi sostenuta da tutti e tre i ministri intervenuti ed interessati alla firma della clausola di salvaguardia per vietare in Italia la coltivazione di Organismi geneticamente modificati.

 

                                        Il Ministro delle Politiche Agricole Nunzia Di Girolamo

Il Ministro della Salute Beatrice Lorenzin  ha tra l’altro annunciato la sua intenzione di “presentare presto in Parlamento un disegno di legge per valorizzare il 'km zero'”,  mentre il Ministro all’Ambiente, Andrea Orlando,  ha affermato: “noi siamo contro gli Ogm, perchè non vogliamo che il nostro paese diventi troppo simile o uguale ad altri paesi” L’abolizione dell’Imu agricola, sostenuta con forza e “sino alla morte” dal ministro Nunzia Di Girolamo rappresenta  un vero riconoscimento del ruolo ambientale, sociale e culturale del settore agricolo, il riconoscimento di quei beni comuni che l’Agricoltura produce (cultura, tradizioni, storia ecc) ma che nessuno paga, il riconoscimento di beni strumentali che nulla hanno a che vedere con una tassa che dovrebbe intaccare i patrimoni.

 

                                                 Il Ministro della Salute Beatrice Lorenzin

 La semplificazione della burocrazia è stata sostenuta anche dal Ministro dello Sviluppo Economico Flavio  Zanonato e della Salute Beatrice Lorenzin  e rappresenta una delle  priorità perché gli agricoltori passano più tempo sulle carte che a lavorare la terra, e perché troppo spesso sono abituati a semplificazioni e poi a semplificazioni delle semplificazioni che portano infine a delle complicazioni ingestibili. L’Assemblea si è  conclusa con il saluto del Presidente Marini che ha invitato i presenti a prendersi le proprie responsabilità, nel dare ognuno il proprio contributo a migliorare il paese che amiamo, l’Italia che vogliamo.

 
  Il Segretario di zona  Coldiretti  del comprensorio Sezze - Pontinia - Sabaudia  PAOLO MARCHETTI
 
 
 
 
 
                                                                       Foto di gruppo