Sole Mado' ! Lu grano ‘nsè mète, nsè po’ più campà
Attraverso il verbale di una sessione del 1858 della Confraternita del Sacro Cuore di Gesù detta dei Sacconi, della quale era priore il prof. Accademico don Niccola De Angelis, teologo e Vicario Generale della città di Sezze, sappiamo che il pio sodalizio partecipava alla messa e alla processione in onore del Salvatore e dell’Assunta, ogni qualvolta le condizioni atmosferiche avverse minacciavano i raccolti.
Quindi, secondo le circostanze, si pregava o per invocare la pioggia o per farla cessare. Con molta probabilità nel 1858 si era verificata una situazione di piogge persistenti in coincidenza della mietitura, che comprometteva i raccolti. Il grano e gli altri cereali erano la principale risorsa del paese e perdere la produzione significava la carestia.
25 giugno 1858 - Viva il Sacro Cuore di Gesù - Ai fratelli Sacconi
La pietà esemplare delle persone distinte per gradi o per esercizi suole mantenere e ravvivare nel popolo i sentimenti della Religione, se mal non mi oppongo questo è uno dei fini che ebbero i Sig. Istitutori della Confraternita a cui apparteniamo. Coerentemente adunque allo spirito della nostra regola, ad antico e lodevole costume, nonché al voto di noi fratelli, invito ciascuno ad adunarsi nel nostro Oratorio il giorno 27 del corrente (domenica) alle ore nove ant., onde, vestito il sacco ed ascoltata la S. Messa, recarsi processionalmente a visitare le S. Immagini del Salvatore e di Nostra Signora, esposte per gli attuali bisogni della campagna.
Firmato: il Priore Niccola di S. Nicola De Angelis -
Fra Augusto di Santa Lucia Boffi Segretario -
Era in uso che i bambini si recassero a gruppi alle “coste” di Sezze, per raccogliere arbusti e rovi e farne corone con cui cingersi la testa, ad imitazione di Gesù Cristo e partecipare così alla processione che principiando dalla Cattedrale si snodava per le strade del centro.
Prima di rientrare in chiesa, era obbligatoria la sosta al Belvedere ( il “Muro della terra”); il Salvatore e l’Assunta venivano rivolti verso la pianura ed invocati per far cessare la calamità .
La tradizione ci tramanda che insieme alle preghiere di rito, in caso di piogge persistenti veniva usata la seguente formula,: “ Sole Madonna che spacca le prède! Lu grano n’se mete, n’se po’ più campà” oppure l’altra in caso di siccità, che non differiva molto dalla prima: “Acqua Madonna che spacca le prede, lu grano n’se mete, n’se pò più campà ”
Accadeva talvolta che le preghiere fossero esaudite, ma il più delle volte era necessario portare nuovamente in processione il Salvatore perché, come lamentava l’Arciprete di Santa Maria, Don Giovan Battista Carissimo, i fedeli non avevano pregato con il necessario fervore.
Alla festa dell’Assunta ( 15 agosto) le “pagnottelle di gli Saluàtore” rappresentano ancora oggi una tradizione irrinunciabile, un dolce all’insegna della devozione che in passato si consumavano solo dopo la benedizione. Ad ogni bambino veniva dava una coppia di pagnottelle inforcate ad una cannuccia, da innalzare al passaggio della processione verso il Salvatore per essere benedette.
Nella Chiesa di S. Rocco, bombardata dagli Alleati nel 1944, nel dipinto dell’ Assunta, San Rocco era raffigurato con una tipica pagnottella di Sezze tra le mani.
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LE ANTICHE CISTERNE DI RACCOLTA DELL‘ACQUA
Un modello che la crisi idrica sta riportando di attualità, non solo per l’uso domestico ma anche per alimentare piscine ed irrrigare aiole.
LA FONTANA DI PIO IX
La posizione collinare di Sezze e la relativa lontananza dalle sorgenti, hanno sempre rappresentato un ostacolo all’approvvigionamento idrico, almeno sino al 1866, quando Pio IX , su progetto dell’ingegnere Armellini, fece zampillare per la prima volta l’acqua nel paese, in piazza De Magistris.
L’acqua giunse a Sezze per caduta e per ferreos tubos dalla sorgente di Monte S. Angelo nel Comune di Bassiano, distante sette chilometri.
La fontana di Pio IX, alleviò notevolmente le condizioni igienico sanitarie della città, alle quali la popolazione aveva da sempre cercato di rimediare in diversi modi. Primo tra tutti la costruzione, ai piani interrati, di grosse cisterne in muratura per la raccolta delle acque piovane, che vi confluivano dal tetto dell’abitazione, a mezzo di tubi di rame o in lamiera zincata.
Le pareti della cisterna erano intonacate con malta cementizia impermeabile per evitare dispersioni e sulla sommità, un tubo o un canaletto aperto di cemento, con pendenza verso la via pubblica o nella fognatura, fungeva da livello, impedendo alle acque piovane particolarmente abbondanti di tracimare ed inondare il piano terra.
Le cisterne erano chiuse sulla sommità da una volta. Una piccola apertura, per lo più rotonda, protetta da un parapetto circolare in muratura, simile a quello dei pozzi, permetteva di calare un secchio a mezzo di una funicella per prelevare l’acqua. Avevano una capacità variabile dagli 8 ai 30 metri cubi, ma l’acqua, pur prestandosi a tutti gli usi domestici, era preferibile non berla.
Così prima che l’acqua della sorgente di Monte S.Angelo zampillasse nella Fontana di Pio IX, le nostre nonne scendevano dal paese verso le fonti più vicine, con conconi di rame o con arciole in terracotta, portate abilmente sulla testa e poggiate su di una morbida coroglia, (straccio arrotolato a forma di corolla).
Le fonti più vicine erano quella dell’Oro in località Fontanelle, le Fontane o il Puzziglio in località Zoccolanti.
Nei primi del Novecento, con l’avvento dell’energia elettrica e delle pompe di sollevamento, comparvero nel paese le prime fontane e alle porte di accesso i fontanili per l’abbeveraggio degli animali, soprattutto muli e cavalli. L’acqua venne prelevata dal lago artificiale che sino ad allora aveva alimentato l'antico mulino delle Mole Muti, dove fu pure costruita una piccola centrale idroelettrica, sufficiente a fornire l'energia per l’illuminazione pubblica del paese, dell’Ospedale e di alcuni mulini, trasferitisi per l'occasione dalla località "Le Mole" al paese.
Trascorsero alcuni decenni, e quando finalmente i rubinetti entrarono nelle abitazioni, le cisterne esaurirono la loro funzione. Furono in massima parte demolite, oppure trasformate in “grotte” per l’invecchiamento di vini in bottiglia, previa costruzione di alcuni scalini per potervi scendere.
Infatti, la profondità delle cisterne, che in alcuni casi superava i tre metri, faceva sì che la temperatura al suo interno si mantenesse naturalmente fresca e costante in tutte le stagioni, ideale appunto per la conservazione del vino, così come lo era stato per l'acqua.
Fu grazie a questa diversa destinazione, se alcuni di questi manufatti, sono giunti sino a noi, a testimoniare non solo un passato di difficoltà nell’approvvigionamento idrico, che i cambiamenti climatici stanno riportando di attualità, ma anche quanto sia necessario ed importante per ogni essere vivente e per l’intera umanità disporre di acqua limpida e pulita e di territori protetti dall’inquinamento degli uomini.
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ACQUA, MADO' ! - FRANCISCO E GLI SALUATORO, una poesia di A. Ottaviani
Nei secoli scorsi, l’emergenza idrica assumeva aspetti ancora più drammatici rispetto ad oggi, perché le pompe di sollevamento dell’acqua erano sconosciute.
Sezze, paese ad economia contadina, non aveva altri mezzi che pregare e “far uscire” la processione dell’Assunta e del S.S.mo Salvatore, nel tentativo di salvare i raccolti della campagna.
La Confraternita del Sacro Cuore di Gesù detta dei Sacconi
Attraverso il verbale di una sessione del 1858 della Confraternita del Sacro Cuore di Gesù detta dei Sacconi, della quale era priore il prof. Accademico don Niccola De Angelis, teologo e Vicario Generale della città di Sezze, sappiamo che il pio sodalizio partecipava alla messa e alla processione in onore del Salvatore e dell’Assunta, ogni qualvolta le condizioni atmosferiche avverse minacciavano i raccolti.
Quindi, secondo le circostanze, si pregava o per invocare la pioggia o per farla cessare. Con molta probabilità nel 1858 si era verificata una situazione inversa a quella odierna, poiché si era nel periodo della mietitura, il grano ed i cereali erano la principale risorsa economica del paese ed è ragionevole pensare che le piogge ostacolassero la mietitura.
25 giugno 1858 - Viva il Sacro Cuore di Gesù - Ai fratelli Sacconi
La pietà esemplare delle persone distinte per gradi o per esercizi suole mantenere e ravvivare nel popolo i sentimenti della Religione, se mal non mi oppongo questo è uno dei fini che ebbero i Sig. Istitutori della Confraternita a cui apparteniamo. Coerentemente adunque allo spirito della nostra regola, ad antico e lodevole costume, nonché al voto di noi fratelli, invito ciascuno ad adunarsi nel nostro Oratorio il giorno 27 del corrente (domenica) alle ore nove ant., onde, vestito il sacco ed ascoltata la S. Messa, recarsi processionalmente a visitare le S. Immagini del Salvatore e di Nostra Signora, esposte per gli attuali bisogni della campagna.
Firmato: il Priore Niccola di S. Nicola De Angelis -
Fra Augusto di Santa Lucia Boffi Segretario
IL SALVATORE (Museo della Cattedrale)
L' ASSUNTA (Museo della Cattedrale)
Era in uso che i bambini si recassero a gruppi alle “coste” di Sezze, per raccogliere arbusti e rovi e farne corone onde cingersi la testa, ad imitazione di Gesù Cristo e partecipare così alla processione che principiava dalla Cattedrale e si snodava per le strade del centro.
Prima di rientrare in chiesa, era obbligatoria la sosta della processione al Belvedere ( il “Muro della terra”); il Salvatore veniva rivolto verso la pianura e si invocava il cambiamento del tempo.
La tradizione ci tramanda che insieme alle preghiere di rito, in caso di piogge persistenti, veniva usata la seguente formula: “ Sole Madonna che spacca le prède! Lu grano n’se mete, n’se po’ più campà” oppure l’altra in caso di siccità, che non differiva molto dalla prima: “Acqua Madonna che spacca le prede, lu grano n’se mete, n’se pò più campà ”
Accadeva talvolta che le preghiere venissero esaudite, ma il più delle volte era necessario portare nuovamente in processione il Salvatore perché, come lamentava l’Arciprete di Santa Maria, Don Giovan Battista Carissimo, i fedeli non avevano pregato con il necessario fervore.
Alla festa dell’Assunta ( 15 agosto) le “ pagnottelle di gli Saluàtore” rappresentano ancora oggi una tradizione irrinunciabile, un dolce all’insegna della devozione che in passato veniva consumato solo dopo la benedizione. Ad ogni bambino veniva dava una coppia di pagnottelle inforcate ad una cannuccia, da innalzare al passaggio della processione verso il Salvatore per essere benedette.
Nella Chiesa di S. Rocco, bombardata dagli Alleati nel 1944, nel dipinto dell’ Assunta, San Rocco era raffigurato con una tipica pagnottella di Sezze tra le mani.
Francisco e gli Saluatoro - di Alberto Ottaviani
I sòlo ti n’cuceua la cipezza,
lu callo e l’afa t’appicciaua,
portaua iasino a capezza,
e Francisco n’giastimaua;
che ci pozza da nu tròno
lu callo schiòppa l’uffa,
ti crèpa, sta a fa i solo liono,
e a mi m’ha dato a uffa.
Alle carcioffole ci ha fatto la strina,
che ci desse n’accimmèzza,
se nun piove manco addumano,
tòcca fa ariscì i Saluatoro,
si nò di grano e ciuciuliano,
ni uè manco i addoro.
S’accurdaui cu gli prèto,
e isciòrno i Saluatoro,
Acqua Madonna, lu grano n’sì mète,
cantauno tucchi n’coro.
I prèto annanzi cu gli sagrestano
Appresso Francisco cu gli contadigni,
cantènne e preghènne a tutto spiano,
ariuòrno a gli Cappuccigni.
I cielo cominciaui a rinnulà,
dapò si fece niro accomme a nu tizzono,
si mettiui a trunà e lampà,
e uenne nu forte acquazzono,
che maceglio, che confusione,
chi scappaua di quà chi di’llà
si scinciaui la pirdiscione,
e puro i prèto si iette a riparà.
L’acqua fece i chioui,
la grandine accomme alle nuci,
stétte dèci ore a pioue,
e Francisco, nun poteua aradduci.
Quant’acqua c’ha fatta Saluatò
È uero ca la semo pregata,
prò troppa grazia sant’Andò,
ma la grandine, chi te l’ha ordinata !
maggio, 1996
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LA LEGGENDA DELLA “ STRETTA DELLA FEMMINUCCIA”
Quella della “Femminuccia” è una storia fantastica, tramandata oralmente dai genitori ai figli; non esiste infatti nessun testo in cui essa è narrata. A motivo della sua oralità, se ne raccontano alcune versioni, tutte con diverse motivazioni.
Si tratta della storia di un fantasma dalla figura femminile, c’è chi dice di una bambina, che di notte si aggirava in Via della Libertà, chiamata per questo dal popolo “Stretta della Femminuccia”. Per maggiore precisione, la stretta della vicenda è la prima che si incontra a destra percorrendo via S. Carlo, con provenienza da Porta S. Andrea e che confluisce con un percorso ad L su Vicolo Marte (uno dei tre vicoli di Sezze che da via S. Carlo conducono alla chiesa di S. Lorenzo).
Via S. Carlo con a destra “La stretta della femminuccia”, ovvero Via della Libertà
La Stretta della Femminuccia, fino a qualche decennio fa si distingueva per avere nel punto in cui curva ad L una casa diroccata e disabitata, alla quale si accedeva da una scalinata esterna con pianerottolo. Questa struttura architettonica, tipica del paese e in misura molto minore dei centri viciniori, veniva chiamata “cimasa”. Oggi la casa si presenta ben ristrutturata e con vetrate artistiche.
Sullo sfondo, imboccando da via S.Carlo, la “cimasa” della Stretta della Femminuccia
La storia si articola secondo tre versioni:
1)-Una donna che aveva perso il figlio, di notte si aggirava in questa stretta tenendo in una mano una testa e nell’altra ago e filo; appariva a colui il quale aveva fatto tre giri intorno ad un vicino palazzo, spaventandolo. Questa versione veniva raccontata dalle mamme ai propri figli per tenerli buoni e non farli allontanare di casa.
2)-C’è chi dice che questo fantasma in realtà fosse un uomo, che travestito da donna e coperto da un grande mantello nero, si recava di notte a far visita ad una sua benestante amante. Lo scopo del travestimento era quello di nascondere la sua identità e proteggere la reputazione della donna amata.
3)- Il fantasma di una donna, che aveva avuto una cocente delusione d’amore, usciva di notte nella stretta e alle persone che incontrava chiedeva di tagliarle la testa, cioè di farla morire, perché non sopportava il dolore di essere stata abbandonata; in cambio queste persone sarebbero diventate ricche ma, nel caso non l’avessero uccisa, avrebbero avuto su di loro la maledizione perpetua.
Per questi motivi ma soprattutto per non incontrare il malefico fantasma, grandi e piccini evitavano di passare di notte nella Stretta della Femminuccia e nei vicoli che ad essa confluiscono: vicolo Dante e vicolo Marte.
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I BROCCOLETTI DI SEZZE
Sono un prodotto tipico e distintivo del territorio del Comune di Sezze al quale devono la loro origine e da cui si sono diffusi nella fascia dei Monti Lepini, dove in alcuni paesi sono anche conosciuti come “simi” per la grande quantità di semi originati dalla loro abbondante fioritura, di colore giallo. I Broccoletti di Sezze appartengono botanicamente alla famiglia delle Crucifere ordine Brassica rapa subspecie sylvestris esculenta ma in dialetto si chiamano “brùcculècchi” con una inimitabile fonetica dialettale delle ultime tre consonanti che solo i sezzesi autentici sanno pronunciare, quasi a sottolineare l’ inimitabilità e la tipicità di questa nostra eccellenza, dal sapore unico ed inconfondibile.Di broccoletti di Sezze esistono due ecotipi fondamentali che si differenziano tra loro per l’apparato radicale e la classe di precocità: il più antico è a ciclo tardivo di novanta giorni e si presenta con la classica radice a bulbo di rapa, che però non viene consumata perché vitale per il cosiddetto “ricaccio” dei broccoletti, che sono la parte più pregiata e che si raccolgono per tutto l’inverno.
Broccoletti di Sezze con radice a bulbo di rapa
L’altra varietà, la più diffusa, è a ciclo medio precoce di sessanta giorni, con una radice a fittone ed è il frutto di una selezione, che i nostri nonni hanno sapientemente operato nel corso dei secoli, con il fine di anticiparne la produzione e di assaporarlo il prima possibile e per più cicli.
Broccoletti di Sezze con radice a fittone
I broccoletti di Sezze differiscono dagli altri coltivati nel resto del Lazio e in altre Regioni, soprattutto Campania e Puglia, per essere come pianta meno cespugliosa e più compatta, con foglie affusolate, meno frastagliate e di un colore verde caratteristico. In tali regioni, i broccoletti venivano largamente usati anche per l’alimentazione bovina, cosi a Sezze quando questi si vogliono distinguerli dai nostri, vengono curiosamente chiamati “ broccoletti di vacca”
Pianta di broccoletto di Sezze
I Broccoletti di Sezze come pure le altre varietà comunemente conosciute come “cime di rapa” sono piante tipicamente mediterranee ed autoctone, quindi non sono state introdotte nel nostro territorio da nessuno, anzi i nostri emigranti, quasi tutti contadini, partiti per Ellis Island e successivamente in Australia e Canada, non volendo rinunciare a questa specialità hanno portato i semi con loro, tentando di riprodurli in quei luoghi, ma ahimè, senza alcun successo. Sono assai ricercati in cucina nel periodo autunnale ed invernale, come verdura cotta ripassata in padella. Da sempre sono commercializzati nel classico mazzetto del peso di circa 7 etti , corrispondenti a due antiche libbre romane, e prima di essere cucinati necessitano di un paziente lavoro di pulitura, che in dialetto viene detto “scinte” (lasseme stà ca tencheta scinte i brùcculécchi) cioè scindere le parti più tenere ed i fiori da quelle più dure che vanno buttate, mentre i nostri padri le utilizzavano invece per alimentare gli animali (galline, pecore, muli, etc).Non si deve dimenticare che nella civiltà contadina tutto tornava utile e nulla veniva mai sprecato o buttato : gettare i doni del Signore era come commettere un peccato mortale.
Tradizionale mazzo di broccoletti di Sezze del peso di due antiche libbre romane (700 gr.)
L’assenza di fonti scritte ci rende difficile risalire all’origine della loro coltivazione nel territorio, tuttavia essendo una pianta autoctona è da ritenere che sia molto remota anche a ragione di alcune ricette delle quali se ne sta perdendo la memoria . Infatti,oggi i broccoletti vengono comunemente consumati con il pane, la classica salciccia di maiale ed il vino rosso, ma in passato “la pizza roscia a’ gli mattòno, cu gli brùcculècchi e la saràca” era il classico cibo invernale che i nostri contadini usavano portarsi “ fòre” e che pastori, pescatori e cacciatori consumavano nella palude.Una volta, quando i campèri volevano accattivarsi il favore di un loro fattoretto o bracciante, soprattutto per farlo lavorare con maggior lena in modo da “tirare” tutta la squadra , spesso solevano offrirgli di nascosto una o più “sarache con i broccoletti” che questi accettavano di buon grado perché c’era tanta fame. Così ancora oggi, quando a Sezze qualcuno difende a spada tratta le ragioni di un altro senza che quest’ultimo ne abbia, gli si dice: “Ma che t’ha dato la saraca?” oppure “me simbri i babbào cu la saràca ‘mmano” (uno spaventapasseri con la saràca in mano). Molto apprezzata ancora oggi è la tradizionale polenta con i broccoletti.Panoramica di un campo di broccoletti nell'Azienda Agricola Del Duca
E’ inutile cercare i semi di Broccoletti di Sezze altrove, essi sono reperibili solo in loco ed ogni contadino che ne ama la produzione, fa in modo di ricavarne il seme per la stagione successiva. Così, a febbraio si seminano alcune piante per la riproduzione, dette portasemi, a fine maggio si estirpano e si mettono ad essiccare al sole ricoperte con una sottile reticella per evitare agli uccelli di beccarne il seme. Dopo circa un mese, quando le piante sono ben secche, vengono “battute” su di un telo con un bastone o un mazzafrusto per farne cadere i semi.
Broccoletti per il seme ad essiccare al sole, ricoperti dalla reticella antiuccelli
I Broccoletti di Sezze, con le prime semine di fine Luglio, vengono raccolti già dal mese di Settembre, e con semine successive se ne hanno a rotazione per tutto il periodo invernale sino al sopraggiungere della primavera, quando cede ai Carciofi romaneschi lo scettro di principe dell’Agricoltura locale e della cucina setina.
Nella foto di sopra Salvatore Santucci (Toto) coltivatore di broccoletti e carciofi dell'Az. Agr. Del Duca
In quella di sotto un altro coltivatore Bassani Sinibaldo alias Baldo Scalena
Locandina della I Sagra dei Broccoletti
Vittorio Del Duca con Armando Uscimenti ideatore ed organizzatore della I Sagra dei broccoletti
Alberto Ottaviani (poeta setino), Ignazio Romano, Tittarello Giorgi, Vittorio Del Duca alla I Sagra
La I Sagra dei broccoletti si è integrata con la Giornata del Ringraziamento di Coldiretti. Al centro il Presidente Del Duca con il gruppo flcloristico I Turapitto.
Intervento alla I Sagra del Presidente di Coldiretti Vittorio Del Duca
Mascotte della I Sagra dei Broccoletti intento a "scinte" i broccoletti per la cottura
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Due antichi contratti verbali
Se ne è quasi perduta la memoria, ne avevo sentito parlare tanti anni fa da un mio anziano zio. Per caso mi sono ritrovato a parlarne con Toto (Salvatore Santucci), mio prezioso consigliere,nonché saggio collaboratore nella produzione dei carciofi romaneschi della mia azienda. Anche lui, in gioventù, ne ha sentito parlare e me li conferma. Si tratta di due contratti verbali, chiamati in dialetto setino Metastàzzio e Patrattàuo. Sappiamo che fino a tutto l’800, ma anche per parte del 900, il grado di alfabetizzazione della popolazione, non solo di Sezze, era molto modesto. Questa condizione limitava la forma scritta di alcuni contratti agrari a vantaggio di quelli verbali, che venivano ufficializzati con una stretta di mano e con l’assistenza di uno o più testimoni.
Con il termine dialettale metastàzzio si intendeva un contratto verbale tra le parti, con pattuizione delle condizioni e del prezzo, e si concludeva in piazza o altrove, alla presenza di due o più testimoni. Oggetto del contratto poteva essere l’affitto di un terreno, una soccida, una compravendita di alcuni capi di bestiame o di una partita di fieno oppure la commissione di determinati lavori agricoli con i buoi, ecc. Ci è stato raccontato di una espressione in dialetto, che si era soliti inviare all’indirizzo di un crocchio di persone che si attardava discutendo in piazza:” Ueeh, ma che state a fà i metastazzio??”
Più singolare, oltre che curioso era invece i patrattàuo o patrattàvo (quasi certamente dal latino pater octavus). Forse non era un contratto vero e proprio, ma un modo per rammentare il puntuale pagamento dei canoni dovuti per il godimento dei beni ecclesiastici. I contadini venivano invitati in Parrocchia a partecipare ad una Messa e durante uno dei canti (forse chiamato Pater Octavus) dovevano rispondere al sacerdote cantando, ad esempio, così: I tengo nà cèsa di S.Angelo alla Giariccia e ci tencheta dà quattro scodelle di grano agli annoooo!!!. Non è certo se si rispondesse anche Amen. I canoni dei contratti agrari, infatti venivano pagati quasi sempre in natura, ovvero con una parte del raccolto, e “ una scodella” corrispondeva a circa Kg 2,5 di grano.La scodella era un recipiente in legno levigato di forma ovale e della capacità appunto di Kg 2,5 di grano, mentre la “cesa”, dal latino coedere, erano appezzamenti di terreno di modesta entità, concessi ai contadini dalle Parrocchie o dalle Confraternite, dietro corrispettivo di un canone o livello (dal latino libellus, libretto)
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